copio e incollo un messaggio che ho scritto dopo aver rivisto il film, lo scorso novembre
Credo di aver visto questo film a 15 o 16 anni, durante una delle mie non rare tonsilliti. Stavo a letto e mi sparavo 3 film al giorno come minimo; all'epoca un mio compagno di classe mi aveva prestato un paio di vhs (parliamo della preistoria praticamente) della "war movie collection". Vidi in rapida successione "Full Metal Jacket" e "La sottile linea rossa" e, naturalmente, preferii il primo: sì, bello, interessante il film di Malick ma pesante. Era, tra l'altro, il primo film malickiano che vedevo (successivamente recuperai "La rabbia giovane" che mi piacque molto di più) e per me era solo un regista di culto famoso perché aveva fatto 3 film in trent'anni.
L'ho rivisto stanotte e be' che dire: una rivelazione, un capolavoro che trascende il cinema come "The Tree of Life". Qui Malick è al punto di svolta: non ha ancora stravolto il suo linguaggio degli anni 70 ma lo massimalizza, arrivando a uno stato di grazia assoluto. E' ancora parco nei movimenti di macchina(1), squarcia la linearità narrativa tramite flashback della "vita passata" dei soldati (l'innocenza dell'infanzia, il primo contatto con una morte ancora umana, l'amore domestico), visioni del "nuovo mondo" conosciuto dal soldato Witt (soggetto della successiva opera malickiana) e visioni di un "quid" immanente, segno tangibile di una trascendenza che ci sovrasta e di cui non riconosciamo il valore. La Bellezza che ci circonda è l'unico senso di una vita che ci condanna all'inferno del dolore e della morte: Malick è un poeta visionario che, come Leopardi, lascia uno spiraglio di luce (altro grande protagonista del suo cinema) nell'immagine di un pessimismo cosmico per le sorti umane.
Casualmente stamattina ho scoperto che oggi Terry compie 70 anni, ognuno lo celebra come può
(1) c'è tutta la sua sensibilità nella scelta degli angoli di ripresa e nelle carrellate a filo d'erba (un movimento kurosawiano?), però il tripudio della steadycam arriverà con l'incontro con Emanuel Lubezki. Nulla da eccepire sulla fotografia di John Toll (qui alla sua prova d'eccellenza, almeno per quello che ho visto), però Lubezki è di un'altra categoria. E sarà grazie a lui che Malick potrà davvero cambiare la sintassi. In tal senso, "La sottile linea rossa" è il film perfetto di Malick, molto di più di "The New World", "The Tree of Life" e "To the Wonder", ma anche meno spericolato.