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Venere in pelliccia
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Venere in pelliccia, di Roman Polanski

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view post Posted on 14/11/2013, 13:45
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Cinefilo Ad Honorem

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Esce oggi e io domani costi quel che costi torno al cinema dopo mesi.

Da ragazzino gli piaceva disegnare. «Era finita la guerra. Mio padre, ebreo, era tornato da Auschwitz. Mamma no. Si era risposato. Litigavamo spesso. Poi mi misero in mano una matita e un foglio. E scoprii che c’era una scuola in cui non si faceva altro: sarei andato all’Accademia di Belle Arti. La mia vita aveva finalmente senso».

Ancora oggi, a 80 anni, appena può Roman Polanski apre uno dei suoi libri d’arte. «Amo i fiamminghi. In particolare Jan Van Eyck, il Ritratto dei coniugi Arnolfini. Lo trovo ipnotico. È un quadro sull’interno di un interno. I due personaggi sono in primo piano. Ma tra i due c’è uno specchio, in cui sono riflesse le loro figure di spalle e il pittore che li ritrae. Dove si collocano spazialmente? Logica vorrebbe che l’artista fosse lì accanto a me che guardo, o alle mie spalle. È dentro e fuori il quadro. Ci penso sempre. Poi chiudo il libro. È un mistero che non riesco a risolvere. Così il giorno dopo lo riapro. Vado avanti da tutta la vita».

Stavamo parlando dei suoi film. Di come da un Polanski movie esci sempre con la sensazione che non sia finito tutto, che lui non abbia chiuso tutte le porte. Il mistero, appunto. Il ghost writer Ewan McGregor, in L’uomo nell’ombra, non lo vediamo morire, seguiamo solo i fogli con la verità che volano via. Nel suo ultimo film, Venus in Furs (il titolo italiano è Venere in pelliccia),
accade lo stesso. Esci applaudendo, ma con la sensazione che qualcosa debba ancora accadere a quel regista partito supponente e finito legato a un cactus mentre la sua attrice, da vittima, si è trasformata in una danzatrice dionisiaca, citazione vivente di Marlene Dietrich in Venere bionda di Josef von Sternberg.


«Quel film? L’avrò visto. Ma non lo ricordo». Lo dice sorridendo, sapendo che non gli credi. Rientra nel gioco, il suo. Come quando, dato che Venus si ispira al romanzo di Leopold von Sacher-Masoch, gli chiedi dei suoi legami con l’autore che ha dato il nome al sado-masochismo. In fondo, Roman è il regista di Luna di fiele: Emmanuelle Seigner in trench di vernice nera, gamba e tacco puntati contro Peter Coyote legato alla sedia…

In Venus ci sono solo lei e Mathieu Amalric, così somigliante a Polanski da far pensare che non sia casuale («Lo nego»). Location, un teatro parigino: lui ha finito le audizioni, ma arriva lei e lo convince a testarla. Così si apre la partita. «Mai stato misogino: nei miei film vincono sempre le donne, come nella vita. Vi adattate meglio, leggete meglio dentro alle cose e alle persone. Avete sempre ragione voi. Sono per la parità, non per l’uniformità: purtroppo le donne si sono mascolinizzate, pensando di pareggiare il potere maschile. Invece siamo diversi: io voglio continuare a regalare fiori a una ragazza come atto di riconoscimento della sua bellezza, grandezza, intelligenza. La battuta più bella di Venus è quella in cui lui definisce il rapporto di sottomissione amore, e lei porno. È giusto così. Però è vero che Mathieu mi somiglia: le racconto un lapsus.
Stavamo cercando gli abiti di scena e, in una sartoria, chiesi: “Avete una giacca per mio figlio?”». Ci vorrebbe uno psicoanalista, ipotizzo: «Non ci ho mai creduto. All’epoca di Repulsion feci leggere il soggetto a un po’ di loro. Mi dissero che la storia della ragazza che scivola nella follia era normalissima, e che io ero la persona più equilibrata del mondo. Siccome mi sono sempre creduto un po’ pazzo, decisi che non potevo fidarmi. Il motivo per cui ho fatto Venus era che c’erano solo un uomo e una donna, al chiuso. Lei portava al collo un dog collar, all’inizio. Finirà col legarlo a un cactus, danzandogli nuda intorno, lui con le labbra verniciate di rossetto come in...» ...L’inquilino del terzo piano, suggerisco: il protagonista era Polanski, le labbra le sue. «Pensavo a Cul de sac. Oddio, non sono un buon regista se finisco per rifare tre volte la stessa scena (ride). Sono uomo da poche domande e da film con pochi personaggi. Voi giornalisti mi chiedete sempre perché questo, perché quello… Mi piace, non me ne domando il motivo. E per quanto riguarda i personaggi, nel mio primo film, Il coltello nell’acqua, erano in tre su una barca in mezzo al lago. Come in La morte e la fanciulla. In Carnage, quattro. Qui solamente due: chissà, l’ultimo film lo farò con uno solo. Magari il mio amico Harrison Ford. O Jack Nicholson. Mi manca tanto, ma lui sta a Hollywood».

È un fiume in piena. Gli ottant’anni non si vedono e non si sentono. È vero che ricorda un folletto. Con l’energia di Mick Jagger, però. Ha sempre detto che il confine tra realtà e fantasia è labile. Ecco perché i suoi film, forse, restano sempre in sospeso. Da bambino, mentre si nascondeva da un famiglia cattolica all’altra nella Polonia occupata dai nazisti, appena poteva entrava nei cinema rimasti aperti: «C’eravamo solo io e i tedeschi. La resistenza lo vietava in segno di ribellione agli occupanti. Ma io pensavo che, se andavi al cinema, non potevi essere cattivo». Ecco perché, dopo aver detto no a Schindler’s List («Era ancora troppo presto per tornare laggiù»), ha voluto girare Il pianista («La parte più bella? L’incontro col nazista che è anche il salvatore») e Oliver Twist, con quel dettaglio cambiato per cui l’orfano ringrazia il suo carnefice, perché comunque si era preso cura di lui. Dà l’idea, insomma, di essersi anche lui riappacificato: «E da cosa? Sono gli altri a pensare che la mia vita sia una tragedia». E la madre mai tornata, e Sharon Tate massacrata, e le tante fughe? «Non sono mai stato in guerra con nessuno: non ho mai odiato l’America, per quello che mi è successo lì. Mia madre? Faye Dunaway, in Chinatown, ha le sue sopracciglia sottili e il suo rossetto. È ovvio che nei miei film ci sia tanto di me: anche loro fanno parte della mia vita». Neanche un rimorso professionale? Un film che non è riuscito a realizzare? «Dovevo fare il remake di Bella di giorno: pazienza. L’unico rammarico, forse, è non essere riuscito a girare un porno in 3D, negli anni 70, su un produttore che durante le audizioni si faceva succhiare il mignolo in tutte le modalità espressive possibili. Vivevo a Roma, lo proposi a Carlo Ponti. Alla fine feci Che?. Poi mi offrirono Chinatown. Ogni tanto ripenso a quel mignolo...». E ride.
 
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Arcadia1983
view post Posted on 16/11/2013, 13:36




la coppia protagonista è molto interessante.
 
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view post Posted on 16/11/2013, 17:49
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Cinefilo Ad Honorem

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ieri saltato.

in compenso ho sentito un orrendo trailer radiofonico, ma chi diavolo li ha doppiati?
 
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Mr.Noodles
view post Posted on 20/11/2013, 15:54




il doppiaggio l'ho trovato davvero orribile e per un film dove ci sono solo due attori non è un problema da poco. detto questo mi sembra che Polanski da qualche anno a questa parte si stia passando il tempo con queste "trasposizioni" (giusto "The Ghost Writer" era più movimentato), in cui può continuare a fare il suo cinema col minimo sforzo. "Venere in pelliccia" è sicuramente più polanskiano rispetto al precedente "Carnage": abbiamo i rapporti uomo-donna intesi come morbosi rapporti di forza tra dominatore e sottomesso, dunque, il sadomasochismo e, infine, il ribaltamento dei ruoli. il contesto è quello del teatro nel teatro, in cui il confine tra personaggi e ruoli da interpretare si assottiglia progressivamente fino ad annullarsi e poi rovesciarsi per ricominciare da capo. una volta innescato il meccanismo, il gioco può apparire abbastanza prevedibile...ma il climax finale vale l'attesa. quasi un divertissement condito delle ossessioni e della classe di Polanski
 
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Arcadia1983
view post Posted on 21/11/2013, 11:17




concordo sul doppiaggio: un film simile va visto in originale. comunque a me è piaciuto molto: coppia in stato di grazia (ma che occhi strani che ha Almaric? :blink:), regia sopraffina e ottima scrittura: oddio, magari si sa dove va a parare - dopo la citazione biblica avevo capito tutto... - ma è comunque forte come si arriva al finale.
consigliatissimo.

ps: comunque l'ho visto al primo spettacolo, ci sta che fossimo io e un altro ragazzo (il quale parlava durante la visione e alla fine mi ha detto: è-insolito).
 
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view post Posted on 3/12/2013, 22:34

Attore/Attrice

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Ci crediate o meno, gente di poca fede, due settimane fa la mia ragazza (sì, avete capito bene, la mia ragazza) mi ha chiesto di andare al cinema assieme a vedere questo film. Io, che come sapete sono di stomaco abbastanza debole su argomenti del genere, e che conoscevo per fama il romanzo famigerato di Sacher-Masoch, mi preparavo per un altro film che mi avrebbe fatto, se non vomitare anche l'anima, procurarmi almeno una buona nausea. Be', sono stato deluso abbastanza, ma in compenso sono uscito con la sensazione di aver visto un capolavoro.

E non solo perché l'ultima parte del film è in pratica una versione moderna delle Baccanti di Euripide, una delle più grandi tragedie greche mai scritte (nonché fra le mie preferite), ma perché è... perfetto, non saprei come altro dirlo. Due attori peraltro in stato di grazia, Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric che è palesemente Polanski (è identico), recitano una piccola commedia arguta e profonda sui rapporti fra un artista e la sua Musa, la sua Dea, la donna dei suoi sogni capace di accendergli l'immaginazione e soddisfare il suo mai sopito bisogno di una felliniana madre che sia anche puttana. Ma una Dea è tale perché il suo potere è maggiore di quello degli uomini, e concedersi ai propri sogni può essere pericoloso, perché il dio dell'arte, Dioniso, e la dea dell'amore, Venere, sono divinità che possono far perdere colui che li adora, privarlo della sua personalità e ridurlo a burattino a sua volta.

E quindi, come posso non amare questo film che è profondamente "classico", nel vero senso del termine? Non posso, lo trovo una delle migliori cose che Polanski abbia mai fatto. E' un capolavoro.
 
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yaniano
view post Posted on 7/3/2014, 14:43




altro ottimo film recuperato. Di quest'opera di Polanski si può dire che sia la continuazione del discorso partito con Carnage: lì erano in 4 che stavano sempre nello stesso luogo (come in Delitto Perfetto di Hitchcock) e subivano la trasformazione, qui sono in due. Bello, tra i migliori film del 2013 ma non un capolavoro. Voto: 7,5.
 
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Merlino*
view post Posted on 15/3/2014, 14:05




Visto ieri sera, molto bello ma per me non va oltre il 7 max 7,5. Per fare paragoni che non servirebbero meglio Carnage.
 
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emilgollum
view post Posted on 26/3/2014, 12:31




recuperato.

Il cinema "subordinato" al teatro non mi ha mai fatto impazzire, ma questo è un bel esperimento di evoluzione/trasformazione dei personaggi, anche se l'ho trovato fin troppo classico e con la museruola (è pur sempre il Polanski del dopo carcere). 7.5
 
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view post Posted on 2/6/2014, 08:07
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Cinefilo Ad Honorem

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Visto ieri con Coly, avete praticamente detto tutto voi, io al sondaggio smollo un 8 perchè in un'annata un po' deludente questo riesce comunque a spiccare sugli altri.

incollo da ondacinema: http://ondacinema.it/film/recensione/venere_pelliccia.html

e da Caprara:

Qualcuno l’ha definito un piccolo film, ma applicando al resto dell’offerta la stessa unità di misura avremmo dovuto smettere d’andare al cinema da un pezzo. In realtà “Venere in pelliccia” è un “piccolo”, ma affilato, denso, ossessivo congegno drammaturgico allestito dal talento sempreverde di uno dei massimi talenti della nostra epoca, l’ottantenne Roman Polanski. Non c’è bisogno, in effetti, di dilungarsi nelle parafrasi o nei preliminari, il film tratto dalla pièce di David Ives a sua volta ispirata all’omonimo e cruciale romanzo di Sacher-Masoch consiste in un’ora e mezza di progressiva, inarrestabile combustione psicologica apparentemente a carico di due soli personaggi, ma in realtà irradiata su un’infinità di situazioni che riguardano noi tutti. I limiti teatrali dello show per Polanski non contano; anzi, è proprio la condizione oggettiva claustrofobica dei duellanti a suggerire alle sapienti traiettorie della cinepresa una serie di incroci, intermittenze, diversioni, illusionismi tesi a tenerli in suo potere sino in fondo. Dunque si può precisare facilmente il carattere di uno dei rarissimi film contemporanei che sarebbe un delitto perdersi: le storiche ossessioni del regista –l’esaltante, perenne guerriglia tra l’uomo e la donna, la verità della finzione più forte di quella della vita, il gioco di specchi tra desiderio e manipolazione, il travestimento destabilizzatore d’identità e lo sberleffo ai riti dell’egotismo artistico (specie d’autore)- concentrate in una sexy dark comedy al diapason.
Thomas (Amalric) è un regista impegnato a ricreare per l’ennesima volta in palcoscenico le atmosfere del romanzo più caro ai cultori del sado-masochismo. La lunga giornata dei provini è stata inutile e frustrante, nessuna candidata s’è dimostrata all’altezza della parte principale, l’aristocratica in grado di trasformare qualsiasi interlocutore in proprio schiavo; ecco, però, irrompere nel teatro parigino l’ultima aspirante (Seigner), in ritardo vergognoso, spettinata, fradicia di pioggia, volgare nell’abbigliamento e negli atteggiamenti nonché sull’orlo di una crisi isterica. L’uomo è esausto e affamato, non vede l’ora di andarsene e per questo decide di concedere qualche minuto all’intrusa, sicuramente destinata a soccombere alla propria plateale inadeguatezza… A questo punto la splendida donna e attrice –una presenza “creaturale”, tanto dotata di carisma quanto perfettamente consona al genio di Polanski sposato a 23 anni nell’89- tira fuori dalla borsa un abito ottocentesco, lo indossa e inizia ad avvolgere Thomas in una tela di ragno inquietante e minacciosa. La ragazzaccia sboccata evolverà in uno stato femminile provocante e funesto, l’aggiornata incarnazione della “belle dame sans merci” che sarebbe piaciuta a Mario Praz, la Venere primigenia e insieme la Vanda di Sacher-Masoch pronte a distillare i “divini” elementi dell’umiliazione e della punizione. Si partecipa con tensione sensuale, si ride con raffinatezza, si percepisce il romanticismo nei gangli intimi della dinamica servo-padrone, si capisce come il rapporto di coppia vada in scena ogni volta obbedendo ai più diabolici e indecifrabili dei copioni.
 
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