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Une Vie - Festival di Roma 2013
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Une Vie - Festival di Roma 2013, Oren Productions

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Hermetico
view post Posted on 25/9/2013, 17:48 by: Hermetico
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Une vie segna finalmente il ritorno di Oren alla produzione, dopo i più che convincente Reboot. Ed è un piacere notare come il cambio di rotta e i miglioramenti ravvisanti in quell’occasione si siano riconfermati anche in questo film che, a livello puramente tecnico, segna un ulteriore passo avanti.
Ci troviamo di fronte a una storia molto semplice, senza grandi ambizioni se non quella di descrivere la vita di un uomo, dall’adolescenza all’età adulta. Siamo quindi dalle parti di Seven Days, con un impianto fortemente drammatico e sentimentale.
Parlando quindi della trama, dopo un efficace incipit (l’uomo sulla spiaggia, il paesaggio desolante) si parte subito con la storia e soprattutto con la prima di una lunga serie di disgrazie. Riguarda la morte dei genitori, che anche io non ho ben capito. E’ stato un incidente? E’ andato a fuoco il locale? Non che fossero necessarie molte spiegazioni però qualche dettaglio sicuramente avrebbe aiutato a rendere tutta la vicenda più credibile.
Poi c’è tutta la parte concentrata a Parigi, con Luc (il miglior amico di Chris) e Chantal (la sua amica d’infanzia). Questa è sicuramente la parte più riuscita. Da una parte c’è Luc, personaggio ben tratteggiato che sprizza genuina simpatia, una spalla perfetta per il protagonista. Dall’altra c’è la storia d’amore con Chantal, una storia iper-romantica, molto classica (con i due che si ritrovano in età adulta, innamorati da sempre) nella sua impostazione, ma efficace.
Tutto però fila troppo liscio e ti immagini che di lì a poco succederà qualcosa di brutto, e infatti si scopre che Chris è sterile. Ecco, forse questo è il punto più fragile della storia e sono d’accordo con Andrew nel dire che una fuga così repentina, da parte del protagonista, dopo una notizia del genere, sia del tutto esagerata e spropositata. E’ vero che indubbiamente la sterilità è una notizia dolorosa da digerire per un uomo, ma c’è ben di peggio nella vita, si può e si deve superare, soprattutto se si ha una compagna accanto. Scappare così, da un giorno all’altro è poco credibile.
A meno che non fosse proprio la compagna a manifestare disagio, ma in questo caso ciò andava mostrato con qualche scena che ci facesse vedere come il rapporto si andava logorando.
La parte in Africa è molto più veloce, forse troppo, ma ho comunque apprezzato il personaggio di Cassandra, il suo carattere spigoloso e per nulla scontato che l’hanno resa molto interessante. Peccato che non abbia molto spazio.
Poi sul finale, arriva l’ultima (questa sì) grande tragedia e si ha la sensazione che davvero il destino si sia brutalmente accanito sul povero Chris. C’è quindi l’ennesima fuga, questa volta però l’ultima, perché tutto finisce dove era cominciato. E l’ultima scena, nonostante forse un po’ teatrale, è di grande impatto. Una sorta di cerchio che si chiude, questa volta però non per opera del destino, nel modo più tragico possibile. Quando si dice “natura matrigna” di leopardiana memoria… qui ci siamo di brutto. Siamo sicuri quindi che sarà il mio il film più triste del festival?? :P
Tante quindi le cose che avvengono, soprattutto tragedie, concentrate in un film molto breve che non dà il tempo allo spettatore di metabolizzarle e renderle quindi credibili. L’effetto “piccola fiammiferaia con destino crudele” è dietro l’angolo. Servivano più scene per approfondire i rapporti tra i personaggi (in particolare quello tra Chris e Cassandra) e soprattutto la psicologia del protagonista e il pessimismo cosmico che lo porta sempre e comunque a fuggire.
Tecnicamente invece il film è un ulteriore passo avanti rispetto a Reboot; lo script è assolutamente scorrevole e leggero da leggere, gli errori grammaticali di un tempo sono scomparsi, c’è più attenzione ai movimenti di macchina a alla creazione di scene visivamente accattivanti (quelle sulla spiaggia con il paesaggio desolante su tutte). Quindi complimenti davvero a Oren che ha dimostrato che, nonostante la lunga pausa, non si è affatto arrugginito, anzi.

Un plauso anche per la scelta del regista, per nulla scontata anzi molto coraggiosa. Invece che prendere il solito regista americano, Oren ne sceglie uno francese, neanche conosciutissimo (nonostante la lunga filmografia), ma perfettamente in linea con le atmosfere del film. Ottimo anche il cast fatto di nomi poco noti e credo tutti francesi. Unico neo l’uso di Cassel nella parte di un adolescente… un po’ troppo ardito.

Musiche ottime, quasi tutte esclusivamente al pianoforte. Anche qui c’è quindi una piacevole coesione di fondo.

Buona la locandina, che con quel tipo di scritte fa molto film sentimentale.

In sintesi quindi Une vie è un film che riconferma la crescita di Oren riguardo la scrittura, ormai completamente esente da ingenuità o errori grossolani. La storia invece soffre di una poca credibilità di fondo, data dall’estrema brevità della pellicola che impedisce ogni tentativo di approfondimento delle tante situazione vagamente accennate, alcune anche emotivamente molto forti. Mi sento di consigliare a Oren di provare almeno una volta una trasposizione, proprio ora che possiede i mezzi tecnici per padroneggiarla.
Intanto, per ora, complimenti per i progressi (spero di non essere risultato saccente). 67/100
 
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