Cinematik.it - Il gioco del Cinema

Inside Llewyn Davis, dei fratelli Coen

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 20/5/2013, 12:26
Avatar

Cinefilo Ad Honorem

Group:
Member
Posts:
26,550

Status:


CANNES - Arrivano i fratelli Coen e subito la musica cambia al Festival di Cannes. Ethan e Joel, frequentatori abituali della rassegna francese, portano in concorso quest'anno Inside Llewyn Davis. Il film, accompagnato da splendide canzoni e ambientato nella scena musicale folk del Greenwich Village nell'era pre-Dylan, è stato accolto da applausi e risate. Rilassato e divertente anche l'incontro con la stampa dei registi e del cast: Oscar Isaac, Justin Timberlake, Carey Mulligan e Garrett Hedlund.

Una chitarra, un gatto fulvo e il gelo di NY. Inside Llewyn Davis racconta una settimana di vicissitudini del giovane musicista folk Llewyn, che si trova dinanzi a un bivio artistico ed esistenziale. Accompagnato dall'amata chitarra (e da un meno amato gatto dal pelo fulvo di cui è costretto a prendersi cura) conduce una lotta senza tregua per sopravvivere e trovare un posto nel panorama musicale del Greenwhich Village. Siamo nel 1961. Perennemente senza un soldo, dorme sul divano di amici e sconosciuti (quella tipologia di facce buffe che solo i Coen sanno pescare). Spesso il divano è quello della coppia di amici artisti, il duo folk Carey Mulligan e Justin Timberlake. A far da contrappunto alla disavventure del musicista, tante splendide canzoni accompagnate dalla chitarra acustica, eseguite dall'ottimo Oscar Isaac. Che, a un certo punto, si mette in viaggio verso Chicago per incontrare un grande discografico (F. Murray Abraham) e portargli il suo disco, Inside Llwyn Davis (da qui il titolo del film). Un disastroso tragitto attraverso il maltempo in compagnia di un narcolettico, uno sgradevole personaggio logorroico interpretato dal sempre ottimo John Goodman e dal suo valletto, un rude e taciturno cowboy dalla voce cavernosa e dal volto affascinante di Garrett Hedlum (l'anno scorso qui al Festival con On the Road di Walter Salles).

Il folk prima dell'era Dylan. Dice Ethan Coen: "L'idea del film è partita tanti anni fa, da Von Ronk. Ci interessava raccontare il periodo che precede l'avvento del fenomeno folk generato da Bob Dylan. Si sa tutto di Dylan, la sua storia e la sua musica, ma molto meno su quello che avveniva nei primi anni Sessanta. Quello scenario folk che lui ha irrimediabilmente cambiato per sempre". Per documentarsi il duo ha visionato documentari e spettacoli dell'epoca e attinto alle memorie del grande artista, che descriveva nei dettagli la scena musicale quando era arrivato a New York. Ma, soprattutto, lo spunto di partenza è stata l'autobiografia del musicista Dave Van Ronk: The Mayor of McDougal Street. Van Ronk è morto prima di terminare il libro, lo ha fatto per lui il giornalista Elijah Wald, basandosi soprattutto sulle sue interviste. Protagonista della scena folk, amico di Bob Dylan, "Van Ronk ha scritto qualche canzone, ma non era quella la sua cifra", spiega Ethan. "Lui interpretava una grande quantità di canzoni folk tradizionali e ogni volta sapeva eseguirle in modo personale e diverso".

Fratello, cosa suoni? I registi raccontano che le canzoni di Inside Llewyn Davis arrivano dallo stesso bacino di musica americana a cui avevano attinto per Fratello, dove sei?. "Volevamo fare di nuovo un film che fosse guidato dala musica. Le due opere sono certamente legate da una profonda connessione, ma sono completamente diverse per tono, contenuto e stile", spiega Joel Coen.

Tutti ridono (tranne Oscar). Hedlund racconta che non si è mai divertito come sul set dei Coen. Timberlake e Mulligan concordano. L'unico serio era il protagonista, Oscar. "Il mio Llewyn è un personaggio pieno di malinconia. Nelle scene ero molto concentrato. Abbiamo lavorato in sottrazione. Un artista taciturno è davvero se stesso solo quando canta. Le canzoni, il testo, il tono esprimono i suoi gusti, i suoi sentimenti, la sua identità. Per questo è ossessionato dall'essere autentico. Ethan e Joel mi hanno chiesto di cantare per me stesso, non per gli altri".
Foto
Com'era il Greenwich Village prima di Dylan? Roba da matti. Come un film dei fratelli Coen

Justin Timberlake


Mulligan e Timberlake: i bi-Folk. "Avevo sentito cantare Carey in Shame di Steve McQueen, non c'è stato bisogno di farle un provino. Ci piaceva l'idea di farle interpretare un personaggio dalla lingua tagliente. Quando scegliamo gli attori spesso vogliamo tirare fuori da loro qualcosa che spiazzi il pubblico. Qualcosa che sappiamo sanno fare ma che non hanno ancora fatto", racconta Joel.

Un gatto per sei. Il gatto fulvo di una coppia di amici che hanno ospitato sul divano Llewyn resta fuori di casa e il nostro se ne deve occupare, portandoselo dietro in metropolitana, inseguendolo, perdendolo e ritrovandolo. Il micio è protagonista delle scene più esilaranti. "C'erano sei 'attori' gatti sul set. Il problema è che i cani vogliono compiacerti, i gatti vogliono piacere solo a se stessi. La scena in metropolitana è stata una grande rottura, tutto è stato molto faticoso era uno dei passaggi fondamentali per il film ed è andata bene", dice ancora Joel.

Ridicolo è bello. Justin Timberlake risponde provocatorio a chi gli chiede del suo personaggio, un cantante folk barbuto di origini irlandesi, non propriamente un fulmine di guerra. "Sono ridicolo? Beh, ci siamo basati sulle foto di un vero cantante folk che cantava canzoni tradizionali irlandesi. Nessun problema a interpretaralo. Come sapete mi piace molto mettermi in ridicolo, ogni giorno della vita. Quanto alla musica folk che interpreto nel film: io sono cresciuto nel Tennessee, ascoltando la musica country e il blues, le prime lezioni di chitarra me le ha date mio nonno".

Analisi e ispirazione. Timberlake dà il suo parere sull'industria musicale e su chi non ce la fa a sfondare, come il protagonista del film. "Ho cominciato questo mestiere che ero molto giovane. Ho incontrato tante persone di talento che non sono state ascoltate. Mi sono trovato nel posto sbagliato con la gente giusta, nel posto giusto con la gente sbagliata. Il problema è che oggi si fanno troppe analisi per capire chi, come e perché qualcuno avrà successo. Un artista deve continuare a sposare dentro se stesso l'idea: di una canzone, di un quadro. Bisogna cercare incessantemente l'ispirazione".

"Perché Llewyn non trova il successo? Perché ha pulsioni autodistruttive? Perché ha un rapporto difficile con l'idea del successo? Perché vuole affermare la propria autenticità? A volte non vince il primo che ha un'idea. Arriva il secondo a fare la stessa cosa e ne prende i benefici. Forse Llewyn era il primo".
 
Web  Top
Arcadia1983
view post Posted on 20/5/2013, 16:04




atteso, altroché, per regia e cast :)
 
Top
Mr.Noodles
view post Posted on 20/5/2013, 22:12




ne hanno parlato tutti benissimo. pare "il solito" ottimo film dei Coen
 
Top
emilgollum
view post Posted on 7/2/2014, 11:45




io vado stasera.
 
Top
Arcadia1983
view post Posted on 7/2/2014, 11:49




penso Domenica. comunque credo dopo l'esame dell'11...
 
Top
view post Posted on 7/2/2014, 13:31
Avatar

Cinefilo Ad Honorem

Group:
Member
Posts:
26,550

Status:


CITAZIONE (Mr.Noodles @ 20/5/2013, 22:12) 
pare "il solito" ottimo film dei Coen

Confermo. In attesa di confrontarmi con altri cinematikini, incollo due rece che nemmeno io per ora ho letto:

Caprara:
Sono un po’ fanatici, si sa, ma per una sequenza, un’inquadratura, uno sguardo i cinefili possono anche delirare. Si dovrà peraltro assolverli qualora il fenomeno –tante volte provocato dai film dei Coen e massimamente da “Fargo”, “Il grande Lebowski”, “L’uomo che non c’era”- assuma cadenze parossistiche al cospetto dell’ultimo arrivato, lo struggente e stralunato “A proposito di Davis” (“Inside Llewyn Davis”). Il tratto dei fratelli cineasti sta, infatti, nell’assoluta leggerezza e l’altrettanta profondità con cui si rievocano snodi storici, s’indagano caratteri, si evidenziano sfumature nei rapporti tra i personaggi e si sparge humour nero senza ricorrere ai grimaldelli del moralismo o del cinismo. Nel caso in questione, poi, la composizione sarebbe sin troppo ricercata –il protagonista non è un eroe e neppure simpatico e la trama non include episodi eclatanti- se non intervenissero, appunto le cesellature, le ellissi, i salti di tono, le interpretazioni formidabili (compresa quella del magnifico soriano che allude all’”Ulisse” di Joyce con felina nonchalance), la scenografia e la fotografia anch’esse “recitanti” e l’ordito musicale –tessuto da una leggenda vivente come T-Bone Burnett- in grado di fare scivolare con grazia il film, che non "ricrea" il ’61 ma sembra girato proprio in quell'anno, come su una scala mobile di sogni e nostalgie, atti gratuiti e uppercut del destino, dignità guadagnate e occasioni perse.
Ispirato all'autobiografia e quindi alla figura del folksinger Van Ronk, fermatosi sulla soglia del successo per un tipico mix d’arroganza e accidia, Davis (Isaac) vaga senza cappotto nel gelido febbraio del Greenwich Village, dorme dove capita, subisce ferocissimi insulti dall’ex fidanzata, bussa a soldi dal decrepito agente, sproloquia a destra e manca, suona per il padre demente, si esibisce al Gaslight Café gestito da… Pappi (l'attore è Max Casella, l'omaggio dei Coen è per il collega napoletano Corsicato), perde il gatto dei lunari amici intellettuali dell’Upper West Side e viaggia nel tentativo di farsi produrre un disco fino a Chicago sull’auto di un jazzista eroinomane (il sempre straordinario Goodman) e il suo teppistico compare. La ballata del fallimento che non riconosce strenuamente d’esserlo gira non a caso in tondo e –in capo a 105 minuti di raffinatezza picaresca senza pari- ci suggerisce che il circolo vizioso della vita è in qualche modo ineludibile anche se non ti chiami Llewyn Davis e non c’è un Bob Dylan a spingerti nel limbo dei perdenti.

I cinemaniaci:
Da molti anni ormai, i fratelli Coen ci hanno abituati ad un grande cinema, tratteggiato in maniera sempre personale, cinema che si autocompiace per le grottesche disgrazie dei suoi protagonisti anti-eroi. A non sfuggire dalla dinamica pessimista (questa volta in una chiave del tutto diversa) è Llewyn Davis, personaggio ispirato al cantante folk Dave Van Ronk, e la storia è ambientata negli anni immediatamente precedenti all’esplosione del fenomeno Bob Dylan.
Il film si apre proprio accennando al passaggio di testimone dal protagonista al cantante che poi avrebbe portato il folk americano che noi tutti conosciamo sul panorama mondiale. La fotografia firmata da Bruno Delbonnel si adegua già dai primi secondi allo stilema coeniano, e la colonna sonora (quasi sempre diegetica) è di altissimo livello, diventando spesso toccante e commovente, il tutto amalgamato da un ritmo fluido e piacevolissimo. E’ tutto tipico del cinema dei due fratelli, fatto di dialoghi brillanti e di situazioni e personaggi grotteschi, se non fosse che, come forse mai successo prima nella loro filmografia, si crea un’inaspettata empatia emotiva col personaggio, anche se non ci si sbilancia mai nel giustificare il suo status quo di uomo non realizzato e senza fissa dimora. In questo equilibrio perfettamente bilanciato, Llewyn si muove tra la sorella che lo giudica come un inetto, il dover farsi carico delle spese di un aborto, il produttore discografico che non crede in lui, uno sconosciuto che lo pesta senza apparente motivo e un gatto (non a caso chiamato Ulysses) che non fa altro che contribuire alla sua frustrazione, divenendo ironicamente metaforica estensione della propria natura errante e disadattata. Stupendo ed inedito l’incontro/viaggio col personaggio interpretato da uno strepitoso John Goodman, musicista jazz ormai realizzato e che lo giudica dall’alto in basso, come tutto il mondo che lo circonda.

Il fato diventa strumento narrativo ineluttabile nel nuovo capolavoro dei Coen che, con una gentilezza e una grazia inimitabile nello stile, firmano un’altra perla che va ad ornare in una nuova direzione la loro personalissima poesia del fallimento.
di Antonio Romagnoli
 
Web  Top
view post Posted on 10/2/2014, 10:25
Avatar

Cinefilo Ad Honorem

Group:
Member
Posts:
26,550

Status:


ne incollo un'altra: (andatelo a vedere!!!) sempre da I Cinemaniaci

A PROPOSITO DI: INSIDE LLEWYN DAVIS

Considerazioni a margine sull'ultimo film dei fratelli Coen


Nell'ultimo film dei Fratelli Coen, "A proposito di Davis" le disavventure del protagonista sembrano fatte apposta per smentire la convinzione che l'arte sublimi la vita. Se prendiamo in considerazione il fascino della prima sequenza, con l'atmosfera del locale bohemiene a rafforzare la perfomance musicale di Llewyn, e la confrontiamo con quello che viene dopo, il meglio che si può pensare è benedire il fatto di aver fatto scelte diverse da quelle del protagonista, ridotto allo stremo da una serie continua di delusioni rispetto alle potenzialità della propria arte.

L'immagine dell'artista maledetto e frustrato da un mondo sentito come luogo di solitudine ed alienazione non è certo nuova, perchè il cinema non ha mai rinunciato alla proposizione di persolità condannate dal loro stesso talento. Tanti sono i contribuiti che si potrebbero ricordare: da "Let's get Lost" di Bruce Webber, documentario incentrato sulla vita del jazzista Chet Baker, a "Control" di Anton Corbjin, biopic del leader dei Joy Division Liam Curtis. Ma ciò che ancora una volta distingue i Coen dal resto della truppa non è solo di aver raccontato lo struggimento di una carriera mai iniziata, e quindi in nessuna maniera responsabile di qualsivoglia ricaduta emotiva (anzi nel film le esibizioni musicali equivalgono ad un momento di sollievo e di conforto). Il pregio di "A proposito di Davis" è invece quello di aver reso in maniera così singolare, e per certi versi crudele, la parabola di un'artista deducendola dal paesaggio interiore dello sfortunato personaggio.


Una caratteristica che i due fratelli sono bravi a depistare collegandone la possibile prova - "Inside Llewyn Davis" è il titolo più che sibillino a riguardo- non alla dichiarazione d'intenti che abbiamo appena illustrato, ma piuttosto all'omonima intestazione del disco che Davis propone a Bud Grossmann, il produttore che lo dovrebbe ingaggiare. Ed invece forti di un impianto musicale come al solito curatissimo (T Bone Burnett alla cabina di comando), i registi del Missesota si divertono a sabotare i codici del biopic - ed il realismo del racconto prima di tutto- con una serie di trovate che appartengono di diritto al linguaggio più intimo dell'animo umano. Come quella di presentare una fotografia desaturata e poi manipolata al computer, dominata di neri e di grigi, come nero e grigio è l'umore di un' esistenza che stenta a sopravvivere. Oppure di deformare lo spazio che permette di accedere al meritato riposo, stringendo a piu' non posso i corridoi che consentono a Llewyn di accedere al meritato riposo nel divano che amici e conoscenti gli mettono a disposizione, e che nel film diventano la proiezione di una difficoltà che insegue Davis fin nelle sue più basiche necessità.

Per non parlare del clima metereologico, freddo ed ostile come lo sono i rapporti interpersonali che il film mette in scena attraverso le divergenze sentimentali e lavorative che affliggono il viaggio esistenziale di Llewyn. Umanesimo espressionista che dal punto di vista stilistico segna un ritorno ad un cinema più semplice (Fargo), con movimenti di macchina quasi assenti che si giustificano con la stasi psicologica del protagonista, e virtuosismi azzerati dall'urgenza di concentrare l'attenzione sulla condizione del personaggio. Un minimalismo che si addice allo spirito dei tempi, e che restituisce il cinema dei Coen ad un livello di eccellenza che solo la bontà del cartellone del festival di Cannes prima, e la politica industriale dei giurati dell'Accademy poi, ne hanno impedito la giusta celebrazione.
 
Web  Top
Arcadia1983
view post Posted on 10/2/2014, 11:13




spero di andare domani.
 
Top
Arcadia1983
view post Posted on 11/2/2014, 21:44




ho scritto 'sto peana ai Coen su FB :D

CITAZIONE
I Coen sono e resteranno grandi registi e soprattutto sceneggiatori. Chiunque scrive, per professione o per semplice diletto (le due cose sono in realtà inscindibili), dovrebbe vedere ogni loro film con penna e taccuino, per cercare di carpire il segreto che rende le loro sceneggiature uniche. E' un'impresa improba, perché i Coen, come tutti i grandi, sono unici, e i loro segreti tali restano.
 
Top
Mr.Noodles
view post Posted on 11/2/2014, 23:29




film autunnale e amaro che mi ha ricordato nella parte on the road "Non torno a casa stasera" di Coppola, in cui emerge la sconfitta di un personaggio marginale e cocciuto. c'è un che di scorsesiano nel fatto di riuscire a distruggere tutte le occasioni buone che gli capitano, ma coeniano nei modi. il gatto è l'animale guida dell'odissea di Llewyn e visto che la realtà per i Coen è "incomprensibile", ogni cosa è sadicamente raddoppiato: i gatti, le ragazze incinta, le cene a scrocco, i cazzotti. persino la porta di casa di Jean, il cui corridoio è sempre inquadrato in una prospettiva centrale, fa un angolo acuto con un'altra e non ci si può passare contemporaneamente in due. Llewyn Davis è a metà tra Barton Fink e il protagonista di "A serious man": entrambi galleggiano in una realtà opaca, da un leitmotiv autodistruttivo da cui non riescono a uscire.


ps: Pap, appena lo vedo, dirò a Carlo che è diventato il tuo nuovo Valerio Guzzano :P
 
Top
view post Posted on 12/2/2014, 13:20
Avatar

Cinefilo Ad Honorem

Group:
Member
Posts:
26,550

Status:


CITAZIONE (Mr.Noodles @ 11/2/2014, 23:29) 
film autunnale e amaro che mi ha ricordato nella parte on the road "Non torno a casa stasera" di Coppola, in cui emerge la sconfitta di un personaggio marginale e cocciuto. c'è un che di scorsesiano nel fatto di riuscire a distruggere tutte le occasioni buone che gli capitano, ma coeniano nei modi. il gatto è l'animale guida dell'odissea di Llewyn e visto che la realtà per i Coen è "incomprensibile", ogni cosa è sadicamente raddoppiato: i gatti, le ragazze incinta, le cene a scrocco, i cazzotti. persino la porta di casa di Jean, il cui corridoio è sempre inquadrato in una prospettiva centrale, fa un angolo acuto con un'altra e non ci si può passare contemporaneamente in due. Llewyn Davis è a metà tra Barton Fink e il protagonista di "A serious man": entrambi galleggiano in una realtà opaca, da un leitmotiv autodistruttivo da cui non riescono a uscire.


ps: Pap, appena lo vedo, dirò a Carlo che è diventato il tuo nuovo Valerio Guzzano :P

Come sempre bella (mini)recensione e trovi chiavi di lettura e dettagli sempre molto originali: Barton Fink tra l'altro l'avevo rivisto da poco, per caso.

ps: ad Alessio Guzzano ho chiesto l'amicizia su FB e mi ha detto che non scrive più di cinema, per ora.
 
Web  Top
Mr.Noodles
view post Posted on 12/2/2014, 14:07




non ci mangiava, in sostanza. po'raccio. comunque ogni tanto linka anche ondacinema, sù! :D


riguardo il film di Coen, probabilmente non è uno dei loro migliori però a) se tutti i film "minori" fossero così, i registi avrebbero filmografie perfette, b) crescerà col tempo, un po' come accadde a "A serious man" la cui accoglienza la ricordo abbastanza spaccata tra chi gridava al capolavoro e chi alla scemenza (messo che "A serious man" rimane una spanna sopra questo).
due annotazioni: le canzoni folk non fanno scenario, ma sono utilizzate in maniera narrativa. sappiamo di Llewyn più dalle canzoni che da quello che viene detto nel film. la fotografia di Delbonnel è splendida, tra leggere desaturazioni e bagliori/cupezze cromatiche che danno anche una certa densità onirica. aspetto che contrasta col realismo della vicenda, ma a mio avviso molto voluto dai Coen, così come la narrazione che si potrebbe chiudere in un loop imperfetto ma angosciante.
 
Top
Arcadia1983
view post Posted on 12/2/2014, 14:10




sì, sulle canzoni concordo. infatti ne ho consigliato la visione a una mia collega che sta scrivendo una storia su un cantante...
 
Top
view post Posted on 13/2/2014, 12:24
Avatar

Cinefilo Ad Honorem

Group:
Member
Posts:
26,550

Status:


CITAZIONE (Mr.Noodles @ 12/2/2014, 14:07) 
non ci mangiava, in sostanza. po'raccio. comunque ogni tanto linka anche ondacinema, sù! :D


riguardo il film di Coen, probabilmente non è uno dei loro migliori però a) se tutti i film "minori" fossero così, i registi avrebbero filmografie perfette, b) crescerà col tempo, un po' come accadde a "A serious man" la cui accoglienza la ricordo abbastanza spaccata tra chi gridava al capolavoro e chi alla scemenza (messo che "A serious man" rimane una spanna sopra questo).
due annotazioni: le canzoni folk non fanno scenario, ma sono utilizzate in maniera narrativa. sappiamo di Llewyn più dalle canzoni che da quello che viene detto nel film. la fotografia di Delbonnel è splendida, tra leggere desaturazioni e bagliori/cupezze cromatiche che danno anche una certa densità onirica. aspetto che contrasta col realismo della vicenda, ma a mio avviso molto voluto dai Coen, così come la narrazione che si potrebbe chiudere in un loop imperfetto ma angosciante.

Per esempio a me Il Grinta non ha lasciato nulla.
 
Web  Top
Andrew.
view post Posted on 13/2/2014, 20:02




Visto. Le atmosfere mi hanno stregato, mi ha lasciato tante sensazioni dentro e ci sto ancora pensando. Mi viene di paragonarlo a un amaro che dopo aver finito di bere ti lascia quel retrogusto fastidioso in bocca, cosa che però ti piace.

Nemmeno io penso sia il migliore dei Coen, ma è uno di quelli che mi ha trasmesso più emozioni. Anche se, essendo l'unico dei fratelli che ho visto al cinema, è naturalmente avvantaggiato rispetto agli altri.
 
Top
31 replies since 20/5/2013, 12:26   282 views
  Share