Cinematik.it - Il gioco del Cinema


Diamond Dogs - Parte II
Poll choicesVotesStatistics
85 [55.56%]
73 [33.33%]
91 [11.11%]
10 [0.00%]
20 [0.00%]
30 [0.00%]
40 [0.00%]
50 [0.00%]
60 [0.00%]
100 [0.00%]
Guests cannot vote (Voters: 9)

Diamond Dogs - Parte II, Chimera Films

« Older   Newer »
  Share  
Clint1994
view post Posted on 18/5/2013, 18:06 by: Clint1994




DIAMOND DOGS – PARTE II by Clint94

Ero molto curioso di leggere questa seconda parte della saga di Andrew, dal momento che il primo film, sebbene fosse sicuramente riuscito, non era quel capolavoro che mi aspettavo, considerando anche la presentazione che lo stesso Andrew ne aveva fatto. Mi aspettavo dunque che fosse questa seconda parte a giustificare l'entusiasmo del produttore per questa storia, e per fortuna così è stato. “Diamond Dogs – Parte II” è un gran bel film, che dovrebbe essere letto subito dopo il primo per apprezzare appieno la complessità della trama e i vari rimandi al passato dei personaggi. Non c'è dubbio sul fatto che questa seconda parte sia migliore della prima, perché, com'è giusto che sia, è qui che si affrontano in maniera più approfondita le vicende e le tematiche introdotte nel primo film. Ritroviamo quindi, a distanza di una decina d'anni, i personaggi come li avevamo lasciati: Christmas è diventato un piccolo gangster di New York, ma con forti dubbi sulla propria vita e la propria attività; Ruth si è trasferita a Hollywood con la famiglia, ma non è ancora riuscita a superare il trauma dello stupro e in segno di ribellione nei confronti dei genitori che pensano solo ad arricchirsi senza fare nulla per lei si lascia andare a frequenti scenate in pubblico (come ci era stato anticipato nel finale del primo film, quando si tagliava i capelli corti nel treno che abbandonava New York); Bill è arrivato a Los Angeles, inconsapevole del fatto che anche Ruth si trova da quelle parti, e svolge lavori manuali nei set cinematografici, ma ormai è un uomo finito, vittima dei propri incubi e incapace di affrontare la realtà. La particolarità della pellicola sta nel fatto che i tre protagonisti, fino a tre quarti del film, non si incontrano mai: i loro percorsi si sviluppano in parallelo, ma senza mai incrociarsi. Ciascuno dei tre trova una figura paterna (Cyrill per Chris, Clarence per Ruth, Goldwin per Bill) che gli permette di uscire dalla difficile condizione in cui si trovano: e così Christmas prende le distanze dalla vita del gangster e si avvia ad una carriera radiofonica, Ruth prende le distanze da una famiglia che non l'ha mai compresa né aiutata e scopre la passione per la fotografia, e Bill diventa un attore per spettacoli illegali di violenza su donne. Se per i primi due è l'inizio di una scalata che permetterà a entrambi di emergere e superare i traumi del passato, per Bill sarà invece l'inizio della fine. I tre protagonisti sono dei magnifici personaggi, ben descritti e capaci di catturare l'empatia del pubblico, ma più che i singoli, ciò che risalta è l'insieme: la descrizione del mondo di New York, fatto di gangster e di radio clandestine, ma anche di quello dorato solo in apparenza della Hollywood degli anni '20; e così le vicende dei tre protagonisti si incastrano magistralmente nella descrizione di questo mondo e delle vicende dei vari personaggi di contorno (i genitori di Ruth, Karl e Cyrill, Cetta e Sal, Santo...). Il collegamento fra i tre protagonisti è Ruth. Se c'è una cosa che mi ha sorpreso, infatti, è il mancato incontro-scontro fra Christmas e Bill. Sebbene siano di fatto l'uno l'alter-ego dell'altro e le loro storie siano strettamente collegate dai fatti del passato, Christmas e Bill non si incontrano mai. Da questo punto di vista, sembra quasi che la vera protagonista sia Ruth: è lei che deve superare i suoi incubi, incarnati nella figura di Bill, prima di poter finalmente stare con la persona che ama, cioè Christmas. Ma se da un lato è lei, in quanto vittima, a dover affrontare il trauma subito, dall'altro anche Bill, il carnefice, continua a essere tormentato dalla figura di questa ricca bambina che ha violentato da ragazzo. L'ossessione di Bill per Ruth era una delle cose che mi aveva lasciato più perplesso nel primo film, perché non era sufficientemente approfondita. In questa seconda parte invece è resa molto bene: per Bill, Ruth rappresenta tutto ciò che odia (lei è nata ricca, lui è sempre vissuto in miseria, e questo era chiaro già nella prima parte), ma incarna anche il fantasma di tutte le sue colpe. E, contrariamente a lei, Bill non riuscirà a liberarsi da questo fantasma: dopo essere sprofondato nel baratro delle droghe, l'incontro, del tutto casuale, con la vera Ruth, la personificazione dei suoi incubi, gli farà perdere la testa e ne provocherà la morte. Da Bill mi aspettavo molto in questa seconda parte, dal momento che nel primo film mi era sembrato il personaggio più interessante; invece, al contrario di quanto mi aspettavo, qui non perseguita Ruth e non svolge il ruolo del cattivo, ma di fatto è “abbassato di livello”: Bill è del tutto privo della grandezza e del fascino che caratterizzano certi villain (cosa che in un certo senso succedeva nel primo film), ma qui è solo un uomo a pezzi, tormentato da un passato di odio e violenza, vittima delle sue stesse azioni e di un mondo che continua a sfruttare solo la sua ferocia. Emile Hirsch, scelta piuttosto particolare, è molto intenso nella parte e può ambire certamente alla nomination. C'è da dire che se da un lato è senza dubbio apprezzabile questa rappresentazione molto realistica del personaggio, dall'altro le parti su di lui rischiano di essere un po' troppo ripetitive e di fossilizzare il personaggio. I percorsi di Christmas e Ruth sono più variegati: lui dopo aver abbandonato la carriera del gangster grazie a un'idea di Santo prima lavora in una radio e poi ne fonda una propria, diventando famoso come narratore di quelle storie che ha sentito o vissuto in prima persona nel corso della sua infanzia e giovinezza da gangster; lei dopo la fase di alienazione in casa e una breve parentesi in un'ospedale psichiatrico diventa una fotografa, ma resta una solitaria con grossi problemi di relazione. I due poi finalmente si incontrano, per poi lasciarsi subito dopo e riabbracciarsi solo nel finale, quando lei ha finalmente superato i suoi incubi e lui ha preparato uno spettacolo teatrale che mostra la sua storia. È una bella storia d'amore, che fa tifare lo spettatore per loro, nonostante i mille ostacoli che ci sono di mezzo. Ottime anche le interpretazioni di Hayden Christensen e Anna Paquin: il primo regala un'interpretazione misurata e matura, nella parte di un giovane uomo che trova la forza per riscattarsi da un passato discutibile, per sfruttare al meglio il proprio talento per la narrazione di storie e in definitiva per fare la cosa giusta; la seconda è quasi commovente nella sua solitudine e nel suo dolore. Per quanto riguarda il resto del cast, questa volta superano la prova anche Marisa Tomei ed Helena Bonham Carter, che nel primo film mi erano sembrate sprecate, ma qui hanno il giusto spazio. Fra gli altri, merita una menzione Bill Cobbs nel ruolo di Cyrill, il più riuscito tra i comprimari: le sue invettive contro il razzismo dei bianchi e la sua venerazione per Grandma Moses riescono nello stesso tempo a far riflettere e a strappare il sorriso.
Lo script è ben scritto, con pochi errori (anche se il nome del padre di Ruth, Philip, è scritto sempre in maniera sbagliata – Philipp o Philiph - ) e si fa leggere con grande piacere, senza essere appesantito da descrizioni eccessive e senza essere troppo sintetico. Non mancano anche in questa seconda parte le scene memorabili, rese ancora più intense dall'accompagnamento musicale: l'incontro dopo dieci anni per strada fra Chris e Ruth, l'abbandono di Chris da parte di Ruth dopo avergli detto di non cercarla più e che sarebbe stata lei a ritrovarlo, l'incontro con Bill e la morte di quest'ultimo, il finale; tutte scene che mi hanno coinvolto moltissimo e che mi rimarranno impresse per un bel pezzo.
Le musiche dunque sono molto belle, scelte con cura: si alternano canzoni d'epoca di Billie Holliday a brani strumentali di Morricone; gli unici che possono far storcere al naso, non perché non siano adatti ma perché sono troppo famosi, sono Deborah's Theme e Gabriel's Oboe. Insomma, utilizzare brani celebri come quelli di C'era una volta in America e The Mission è sempre un azzardo.
Giuseppe Tornatore alla regia si conferma la scelta migliore che Andrew potesse fare. Il regista siciliano, perfetto per le atmosfere del film malinconiche e intense, nostalgiche e struggenti, fa sentire la propria mano soprattutto in qualche scelta particolare (per esempio, il finale in cui tutte le vicende che si concludono vengono riprese come se fossero in un palcoscenico).
Molto bella anche la locandina, così come il sito; mi piacciono molto nel sito le immagini dei tre protagonisti come se fossero fotografie istantanee.
Piccola riflessione conclusiva: è evidente che ci troviamo di fronte a un'opera imponente e ambiziosa, ed è evidente anche che il soggetto di base, ossia il romanzo di Luca De Fulvo, era molto più ricco, con le varie sotto-trame molto più sviluppate. Però mi è sembrato che in questa seconda parte il lavoro di Andrew sia stato impeccabile, perché anche le vicende secondarie meno approfondite (la povertà in cui cadono gli Isaacson o l'amore fra Cetta e Sal, per esempio) tutto sommato hanno uno spazio sufficiente a non lasciare la sensazione che fossero solo degli abbozzi e anzi arricchiscono la cornice del film, rendendo migliore il quadro d'insieme. Ammetto che dopo aver concluso il film mi è venuta una gran voglia di procurarmi il romanzo e leggerlo, perché sono certo che mi appassionerebbe così come mi ha appassionato questa trasposizione e che vi troverei ancora più materiale; e poi è un tipo di storia perfettamente nelle mie corde.
Il giudizio complessivo è quindi ottimo. Ci troviamo di fronte al miglior film di Andrew da molto tempo a questa parte: probabilmente era dai tempi de “L'albero senza frutti” che la Chimera Films non produceva un film così intenso, appassionante ed emotivamente forte. I difetti che mi verrebbe da attribuire alla pellicola sono quelli che vengono da fare sempre quando si ha a che fare con le trasposizioni di grossi romanzi: è innegabile che qualche passaggio sia un po' troppo veloce o un po' forzato (Chris e Ruth in fondo arrivano al successo piuttosto in fretta). Ma probabilmente sono critiche che non ha nemmeno senso fare.

VOTO: 82


PS: ho pensato molto al voto da dare, in relazione all'altro grande film del semestre, "A volte ritorno". Alla fine ho deciso di dare un punto in meno a questo, per varie ragioni, ma potrei benissimo cambiare idea. Sono due splendidi film e faccio davvero fatica a dire quale mi è piaciuto di più.

PPS: Da notare che sono entrati nella mia top 20 di sempre Looking for Hope, A volte ritorno e Diamond Dogs, tre film molto recenti. Significa che in questo periodo, nonostante tutto, escono film di qualità altissima.
 
Top
44 replies since 6/5/2013, 20:51   1491 views
  Share