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American Psycho
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American Psycho, Arcadia Productions

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Clint1994
view post Posted on 3/1/2013, 00:37 by: Clint1994




AMERICAN PSYCHO by Clint94

Il quarto film del semestre di Arcadia è sicuramente il suo migliore da molto tempo a questa parte, perché finalmente si tratta di una pellicola ricca e ambiziosa, con un cast e una regia di un certo livello; un film insomma personale come i precedenti, ma più in grande stile e in un certo senso più adatto a riscontrare i favori del pubblico. Era quello che ci aspettavamo da Arcadia. Ciò non toglie comunque che il film contenga comunque tutte le ossessioni e i temi cari al produttore napoletano, collegandosi con un filo rosso agli altri suoi film del semestre e mantenendo un'impronta piuttosto personale. “American Psycho” non è un film facile da leggere né da seguire. I film di Arc sono i film che faccio più fatica a leggere, perché spesso sembrano formati quasi da scene scollegate, difficili da seguire da un punto di vista logico (penso a “Notte selvaggia” o anche “Campo di fuoco”, oltre a questo). Anche “American Psycho” presenta diversi passaggi di non facile comprensione, perché tutto è visto attraverso gli occhi di Patrick Bateman, dentro la sua testa, e quindi certe frasi e certi dialoghi che sono mostrati come veri, in realtà sono solo pensieri. Anzi, il finale ambiguo potrebbe lasciar pensare che l'intero film sia solo frutto dell'immaginazione del protagonista (altrimenti perché Harold direbbe che Paul Owen è ancora vivo e che ha pranzato con lui?). Comunque, il fatto di vedere ogni cosa filtrata dallo sguardo e dalla testa di Patrick rende la lettura abbastanza ostica, soprattutto all'inizio, quando non è ancora chiaro che certe uscite di Patrick, che dovrebbero scandalizzare gli interlocutori i quali invece continuano sempre a parlare come nulla fosse, in realtà sono solo pensieri. Una volta appreso il meccanismo, si riesce a seguire tutto meglio. In realtà la lettura è ostica anche proprio per il contenuto, perché la storia è maledettamente inquietante e non vengono risparmiate scene di una durezza e una crudeltà efferata, che costringono lo spettatore a prendersi delle pause per assorbire tutto; durante la lettura ho provato più volte una sensazione di vero disagio, di ansia, quasi di preoccupazione, e confesso che quando sono arrivato alla fine ho tirato un sospiro di sollievo, perché diverse parti sono difficili da reggere (e lo script è anche un po' troppo lungo, forse). Arcadia invece descrive tutto in modo molto dettagliato, anche le scene più esplicite e terribili, e mi chiedo se fossero proprio tutte necessarie. Come spesso capita quando si vedono film del genere, la sensazione che l'autore volesse scandalizzare a tutti i costi è molto forte anche in questo caso, perché di delitti efferati se ne vedono davvero tanti, e mi chiedo se fossero tutti necessari. La lettura, insomma, è molto disturbante. Oltre all'aspetto visivo, cioè ai delitti veri e propri, la cosa più inquietante è proprio la descrizione dell'abisso di follia in cui cade Patrick, che mette davvero angoscia proprio perché è lui il personaggio principale e noi spettatori siamo praticamente costretti a immedesimarci in lui. Da questo punto di vista, il film è certamente riuscito (anche se, lo dico chiaramente, un film così non vorrei rileggerlo). D'altro canto lo script non manca di difetti. In molti casi Arcadia esagera davvero, nella descrizione delle ossessioni di Patrick e della sua routine: per spiegarci che Patrick è ossessionato dagli abiti alla moda non occorre scrivere la marca di ogni abito che indossano i personaggi che incontra, perché a nessuno interessa; così come non ha senso scrivere il tipo di shampoo utilizzato da Patrick quando si lava. Tutte queste cose mi sono sembrate troppo letterarie e poco cinematografiche, nel senso che uno spettatore al cinema può vedere che i personaggi si vestono alla moda, ma non è che riconosce ogni marca di scarpe, giacche e pantaloni. Anche dal punto di vista della regia alcuni passaggi mi hanno lasciato perplesso: per esempio, il piano-sequenza all'inizio che ci mostra la routine di Patrick. Ora, se per piano-sequenza intendiamo una lunga ripresa senza stacchi, quello descritto nel film è impossibile, perché il protagonista si fa la doccia, si passa delle pomate sul viso, si veste, si pettina, prepara da mangiare... Mostrare tutto ciò in un'unica ripresa senza stacchi è impossibile, a meno di non fare un piano-sequenza di almeno mezz'ora (e parlo di tempo reale), il che non ha senso, anche perché il pubblico si annoierebbe a morte. La descrizione di quella scena quindi non ha niente di cinematografico: la routine di Patrick doveva essere mostrata con una serie di stacchi rapidi, ma il piano-sequenza descritto non è possibile. Per il resto, se si escludono l'eccessiva insistenza sulle marche alla moda e questi errori registici, lo script è ben fatto, con dialoghi secchi di particolare effetto. I personaggi sono tanti, ma a parte Patrick nessun altro spicca. Sembrava molto interessante la figura di Timothy Price, che però scompare ben presto per ricomparire solo alla fine. Le due protagoniste femminili, Courtney ed Evelyn, sono piuttosto stereotipate. Patrick però, bisogna ammetterlo, è un personaggio difficile da dimenticare. D'altronde tutto il film è incentrato su di lui e sulla sua testa, quindi non poteva che venir fuori un gran personaggio, inquietante come pochi, ma descritto benissimo: lo script è un vero e proprio viaggio nella sua testa e nella sua follia. Robert Pattinson, anche se è dura ammetterlo, offre una delle interpretazioni più intense e difficili del semestre, e merita senza dubbio una nomination come attore protagonista (con buone possibilità di vittoria, secondo me): scommessa vinta da parte di Arc, perché Pattinson (che anche nella realtà si sta dando fare per scrollarsi di dosso il vampiro di Twilight) si rivela perfetto per il ruolo. Il resto del cast è abbastanza ben scelto (anche se ci sono praticamente tutti i protagonisti di Gossip Girl), ma come detto nessuno spicca sugli altri e alcuni (LaBeouf e soprattutto Willem Defoe) sono abbastanza sprecati.
Brian De Palma alla regia mi sembra un'ottima scelta, anche se negli ultimi anni lavora meno e questo probabilmente è un film che avrebbe potuto dirigere un po' di anni fa. Comunque svolge un buon lavoro, nonostante qualche imprecisione che ho già sottolineato.
In conclusione, “American Psycho” è uno dei migliori film tra gli ultimi di Arc: una pellicola difficile da seguire, cruda, disturbante, ma che sicuramente non lascia indifferenti. Non è perfetto e non rientra tra i miei preferiti del semestre, ma mi ha angosciato come pochi altri (e infatti non è che ci tengo a rileggere film simili in futuro, sono sincero).

VOTO: 7,5
 
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38 replies since 29/12/2012, 09:42   1651 views
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