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Leo and I (festival di Roma 2012)
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Leo and I (festival di Roma 2012), Sunset Boulevard Films

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Francis Delane
view post Posted on 18/9/2012, 00:04 by: Francis Delane

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17/09/2012

Quando la proiezione termina, la sala (che ha riso all'unanimità per la citazione da Monty Python's Life of Brian) resta per un momento immersa nel silenzio. Non oso immaginare la faccia di Agnese in questo momento. Poi, però, parte l'applauso di Mastruccio, qualche fila più avanti, e la platea si scioglie in quella che non è una standing ovation, ma è comunque un applauso sentito, caloroso, per il film che segna l'indubbia crescita di Agnese.

Più tardi, vado a leggere le recensioni altrui (cosa sempre utile quando si vuole fare la propria), e su alcune cose mi trovo a dissentire. Non hanno tutti i torti coloro che imputano al film una stringatezza eccessiva in alcuni punti, che smorza il pathos. Penso soprattutto a quel che accade dopo la fuga di Leo dall'ospedale con Claire, dove troppo repentino è il passaggio alle rivelazioni e all'omicidio finale.

Tuttavia, io che almeno posso dire di aver visto il film di Kubrick, dico che altre critiche alla storia non credo siano condivisibili: io, anzi, credo che sia perfettamente comprensibile l'omicidio di Claire, vista la passionalità che Henrietta aveva messo nella storia, anche a distanza di quattro anni; e per quanto riguarda la "casualità" dell'incontro Henrietta/Leo/Claire nel college, siamo in un romanzo e il romanziere (o sceneggiatore) si appella sempre al diritto di far accadere le cose come meglio per la storia.

Il film è molto fedele al libro, attualizzazione e scambio delle parti a parte, negli eventi della trama, un po' meno nel trattamento dei personaggi: ed è qui che si registra quella che per me è stato qualcosa di molto duro da digerire. Perché in Kubrick non si riesce per davvero a odiare Lolita, come credo avvenga anche nel romanzo: lei ingenua lo è per davvero, e non sfrutta Humbert o Quilty nelle rispettive relazioni. In questo film, invece, Leo NON è innocente e ingenuo, e quando nel finale dice "io non sono colpevole" mi sembra davvero che si stia lavando le mani come Pilato da una storia dove lui è tutt'altro che una vittima. Perché è lui che gioca con la passione di Henrietta, è lui che poi la manovra a suo piacimento, ed è lui che la lascia per la Quilty. In altre parole, a me Leo sta antipatico, ma VERAMENTE antipatico, e con questo presupposto ho fatto molta fatica a digerire il finale dove lui è l'unico a cavarsela senza danni.

Di conseguenza, Henrietta si conquista la nostra simpatia. E se la stringatezza effettivamente un po' eccessiva inibisce il pathos della lotta contro la sua perversione, almeno però lei la vediamo lottare e soffrire di fronte ai nostri occhi, senza neanche troppa ipocrisia: col risultato che, se non viene scusata, poco ci manca, perché legge della ricezione letteraria è che quando un personaggio viene offerto così tanto all'identificazione emotiva del lettore, le sue colpe tendono a passare in secondo piano (e credetemi, da lettore assiduo dell'Inferno dantesco ne so qualcosa). Il che, però, non è necessariamente un male.

Quindi sì, bisogna ammettere che il film crolla un po' sotto il peso delle sue ambizioni, sia di confronto letterario/cinematografico sia di temi affrontati. Ma non crolla del tutto, questo assolutamente no. Non crolla perché Agnese è stilisticamente molto migliorata nella scrittura (anche se la punteggiatura avrebbe bisogno di una ricontrollata); perché comunque la caratterizzazione di Henrietta, Leo e Charles è riuscita molto bene (Claire resta più sullo sfondo, e forse avrebbe meritato più spazio) e mantiene alla storia quel tono morboso adeguato; perché la musica è scelta adeguatamente e con passione; e perché il film ha comunque un buon ritmo, e non manca di colpire lo spettatore dove fa più male.

Bravi complessivamente tutti e quattro i protagonisti, specialmente la Foster che dà l'anima nell'interpretazione, e l'ambiguo Ludwig, ma anche il compassato Fassbender, mentre purtroppo la Keaton resta a margine. Daldry dirige bene con un ottimo senso dell'inquadratura (altra cosa migliorata da Agnese rispetto agli esordi).

VOTO FINALE: 75/100 (7 al sondaggio). Agnese sta crescendo rapidamente, e col terzo film dimostra di saper affrontare abbastanza bene anche grandi temi. Se il film fosse stato più lungo, poteva essere un capolavoro.

P.S. Ah, per chi non lo sapesse, le mie recensioni per il Festival sono scritte come se facessero parte del Diario.
 
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