La storia della vita di Howard Hughes (Leonardo DiCaprio), petroliere texano che a Hollywood si reinventa produttore cinematografico e costruttore di aerei: la realizzazione del monumentale film
Hell's Angels, portato a termine dopo tre anni a causa delle complicate battaglie aeree e della riconversione al sonoro; le relazioni difficili con attrici del cinema come Katharine Hepburn (Cate Blanchett), Ava Gardner (Kate Beckinsale), Faith Domergue (Kelli Garner); la costruzione di una linea aerea transoceanica e la lotta contro Juan Trippe (Alec Baldwin), capo della Pan American deciso ad avere il monopolio dell'aviazione in America; l'ossessione per la pulizia e la lenta discesa nella pazzia; la costruzione dell'Hercules, il più grande aereo mai costruito.
Finito il progetto ventennale
Gangs of New York, e fedele alla sua regola di vita ("un film per me, un film per loro"), per la terza volta nella sua carriera dopo
Cape Fear e
Kundun Martin accettò un lavoro su commissione: la sceneggiatura di John Logan era, infatti, già passata per le mani di Michael Mann, ed era un film che DiCaprio, anche produttore, voleva fortemente. Il film fu preparato e girato minuziosamente: Cate Blanchett si guardò 15 minuti di un film con Katharine Hepburn per imparare a muoversi come lei, le scene aeree furono fatte con modellini e non con la CGI come si era pensato all'inizio, Thelma Schoonmaker al montaggio diede alla prima parte del film un tono azzurro per emulare i primi rudimentali modelli di colore cinematografico, e alla seconda uno stile più Technicolor. Ne valse la pena: il film ebbe un grande successo e vinse cinque Oscar (meritatissimo quello alla Blanchett).
Che Martin appartenga a quel ristretto novero di registi che riescono a trasformare in un film loro anche un film che è evidentemente su commissione, lo si è visto con
Cape Fear; inoltre, finalmente il regista italoamericano ha l'occasione di parlare di cinema direttamente, rievocando i fasti della vecchia Hollywood (c'è persino un cameo di Jude Law nel ruolo di Errol Flynn), e per gli occhi il film è una vera festa, una meraviglia continua e spettacolare, una dichiarazione d'amore al cinema come creatore di sogni e di miti. Il problema, però, è di fondo: la sceneggiatura di Logan dimentica parecchi risvolti scomodi di Hughes (razzismo, antisemitismo, e inoltre l'azione contro
Quarto potere intrapresa da lui ed Hearst), e non riesce a convincere fino in fondo nella rappresentazione della pazzia. L'ossessione di DiCaprio, che è comunque bravo, è troppo artificiosa per essere credibile, troppo improvvisa, e Hughes è rappresentato in fondo come un sognatore solo un po' paranoico ma in maniera del tutto innocua: una versione rassicurante di Travis Bickle, Gesù o Jake LaMotta, che convince sinceramente poco. "Molto rumore per nulla", quindi? No, però stavolta Martin non riesce a giocare tutte le sue carte, e il film alla fine risente dello iato fra l'eccellenza visiva e la pochezza drammatica (al contrario invece di
Gangs of New York e del successivo
The Departed). Comunque, torno a dire: non è una brutta visione.
P.S. E inoltre, la Blanchett sarà più brava, ma la più bella del reame è la Beckinsale come Ava Gardner...