| Recensione della Granato Production
Il tema della sofferenza tocca nuove corde emotive, grazie (o a causa) di “Una Vie”, ultima fatica prodotta dalla Oren Production, dopo otto lunghi mesi d’inattività. La storia narrata è di quelle in cui ogni cosa va per il verso sbagliato, sempre e comunque. E’ la storia di un personaggio ambizioso, limitato nella sua vita privata da problemi di sterilità e successivamente, da un gravissimo tumore al cervello. Una vita drammatica, la sua, che lo vede scivolare in un profondo baratro, senza possibilità di salvezza. Un uomo, vittima delle circostanze e soprattutto, vittima della sua incapacità di affrontare i problemi della vita. L’unica condizione possibile è la fuga.
Insomma, dopo “Mio Fratello”, ritroviamo sul grande schermo un’altra opera profondamente triste e negativa. Oren si avvale di un soggetto originale, dando vita ad uno script molto breve e scorrevole, per un racconto che ha la pretesa di narrare dieci anni di vita, in appena un ora di film. La sensazione che ho avuto è quella di un’opera frettolosa. I primi minuti del film sono molto corposi, così come narrazione, poetica ed efficace. Ma già verso metà del film, la storia decolla in modo vertiginoso, con una rapidità tale, da non concedere alcun empatia con alcun personaggio. Troppi protagonisti nell’arco di pochissimo tempo. Troppe situazioni narrate e in un attimo sfumate. L’unico punto fermo è la spiaggia, teatro di profondi ricordi legati al passato di Christope, interpretato da un convincente Vincent Cassel. I numerosi flashback ci introducono amici di vecchia data, fra cui ricordiamo Luc, interpretato da Omar Sy, un poco sprecato, e vecchi amori legati alla sua giovinezza.
La “fretta” è cattiva consigliera. Arrivati ad un certo punto del film, aumentano gli errori di battitura e l’opera perde di qualità. Ma quel che è peggio, dal mio punto di vista è che la storia stessa non mi ha convinto. Il fatto che Christope sia perennemente in fuga da se stesso è una chiave semplicistica, sicuramente verosimile, se guardiamo alla vita reale, ma troppo banale per un film drammatico. Non c’ è alcuna evoluzione emotiva e nessuna presa di coscienza. Così com’è partito per l’Africa, fuggendo dalla sua sterilità, così torna in Francia, fuggendo al tumore. Poveraccio!
Voto 60/100 Sondaggio 6
Il soggetto non è certo di quelli semplici da realizzare, ma Oren ha realizzato film molto più belli e attingevano comunque alla sua fantasia. Se non fosse stato per la fretta di partecipare al festival, credo che avremmo discusso di un film profondamente diverso.
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