Finalmente ho finito di leggere il nuovo e chiacchierato (mi sorprenderei del contrario!
) film di Arcadia, uno dei più attesi del semestre per l’assoluta stravaganza del soggetto e anche per il ritorno alla produzione di Arcadia che questo semestre, a differenza del passato, è uscito con una sola pellicola.
Lo dico subito, senza troppi giri di parole, per dovere di onestà nei confronti di Arcadia: il film non mi ha convinto del tutto nonostante le tante buone idee.
La storia, si sa già, racconta di un paese in cui da un giorno all’altro non esiste più la morte e nessuno degli abitanti va più all’altro mondo. Ciò comporterà una serie di pesanti ripercussioni sulla società, a partire dai ceti più umili fino alle sfere più alte. Inutile sottolineare la genialità che c’è dietro una storia del genere eppure quando si ha a che fare con un’opera così ingombrante e importante, i rischi e le insidie della trasposizione cinematografica si moltiplicano tanto che viene da chiedermi se davvero qualcuno avrebbe potuto fare meglio di Arcadia. Non credo si potesse fare di più, il produttore ha fatto un gran lavoro di trasposizione ma il film soffre di alcuni difetti su cui è difficile sorvolare.
Innanzitutto è bruscamente diviso in due parti, diametricalmente opposte. La prima corale, frammentaria, piuttosto lenta, mentre la seconda più intima, con due soli protagonisti e un ritmo che dire veloce è dire poco.
La prima parte, all’inizio, è estremamente interessante e ti cattura a dovere. Vedere le conseguenze che porterebbe l’annullamento della morte dalla vita degli uomini è sfizioso e davvero ci si rende conto come la nostra società sia fondata sulla morte, tanto che viene da pensare sia quasi una benedizione. Interessanti i vari dibattiti tra il cardinale e il primo ministro, oppure quello tra i due filosofi, per non parlare poi del modo in cui reagisce il governo a tale cataclisma (collusione con la mafia… ci ricorda mica qualcosa?
).
Tutto molto piacevole e stimolante da seguire, eppure a volte si ha la sensazione che i dibattiti vadano troppo per le lunghe, che bastassero molte meno battute per far passare un concetto, o che addirittura qualche dialogo fosse quasi superfluo (quello con lo Spirito delle Acque non mi ha convinto e poi mi sono chiesto: come farebbe uno spettatore a capire che quello è lo Spirito delle Acque? Non gli si chiede uno sforzo di immaginazione troppo grande?). Si ha quasi la sensazione di assistere più a una lezione di filosofia, con grande stile ovviamente, ma pur sempre una lezione.
La seconda parte invece è sicuramente quella più avvincente, che stimola non solo riflessioni ma soprattutto emozioni. A volte si prova quasi tenerezza per l’enigmatica figura della Morte, dipinta quasi come un impiegato delle poste, con i suoi superiori da soddisfare e le scartoffie burocratiche. Non c’era modo migliore di ironizzare sulla più grande paura dell’uomo. Bello anche il timido rapporto che si instaura tra Morte e il violoncellista, fatto di dialoghi enigmatici e sguardo silenziosi. Sembra che tra i due, a parlare, più che le parole sia la musica. Peccato che tutto si risolva davvero in una manciata di scene lasciando al sensazione che si potesse approfondire molto di più il rapporto tra i due, magari sacrificando proprio qualche scena della prima parte.
Riguardo il finale, Arcadia, in coerenza con lo stile, le atmosfere e le scelte fatte nel corso della pellicola, si affida a una conclusione aperta che sicuramente non stona con il resto del film. Io però avrei preferito quella più attinente al libro, sicuramente più esplicita e meno enigmatica, ma con un tocco vagamente romantico che ho molto apprezzato.
Nonostante le perplessità di cui ho parlato, rimane però intatto il consueto e ormai personalissimo tocco di Arcadia: le atmosfere raffinate, le musiche, alcune inquadrature, contribuiscono a creare uno stile sempre molto raffinato che affascina e cattura.
Nonostante non sia facile da giudicare in un film del genere, credo che quella di Polanski sia una buona scelta. Anche il cast non è semplice da giudicare, dato che la maggior parte compare in poche scene. Nel suo complesso è molto ben assemblato, con scelte originali e per nulla scontate. La scommessa di Arcadia sulla Knightley è pienamente vinta. Infatti l’attrice con al sua bellezza algida e l’espressione un po’ imbronciata è perfetta per la parte.
Apprezzo la scelta delle musiche, tutte stilisticamente sulla stessa linea. A volte però avrei cambiato qualche accompagnamento.
Buono il sito. Interessante soprattutto la sezione sul romanzo. Locandina bellissima, l’immagine sembra quasi professionale. Solo il font usato non mi ha convinto.
In conclusione
Le intermittenze della morte è un film molto particolare, per certi versi coraggioso, che però a volte è troppo debitore nei confronti del romanzo da cui è tratto e quindi della forma letteraria. La prima parte troppo lunga e dispersiva, schiaccia inevitabilmente la seconda molto più emozionante ma che si risolve in poche scene. Credo che Arcadia (spinto dalla passione per l’opera) abbia fatto il massimo per trasporre il romanzo al meglio senza tradirlo e questo gli va riconosciuto; altri magari (tipo io) non ci avrebbero neanche provato.
67/100