| IL PARADISO DEL DIAVOLO by Clint94
“Il paradiso del diavolo” si presentava come un film molto misterioso, da cui nessuno sapeva bene cosa aspettarsi. Mi sono quindi avvicinato alla lettura con una certa curiosità, per capire che genere di prodotto fosse. Premetto che non ho visto nessun film di Lars Von Trier, ma lo conosco bene di fama e una certa idea su come deve essere il suo cinema me la sono fatta. E aggiungo che, a essere sincero, è un tipo di cinema che non mi attira affatto e che non ho intenzione di recuperare in tempi recenti. È comunque un autore con uno stile molto particolare, e scrivere un film di Cinematik che rientrasse nelle sue corde non era un'impresa facile. Da questo punto di vista “Il paradiso del diavolo” mi è sembrato simile a “Hurt'n home”: un film scritto quasi apposta per mettersi alla prova e vedere se si era in grado di scrivere un prodotto in linea con le altre pellicole di questo regista (con la differenza che il film scritto per Tarantino era originale, mentre questo è tratto da un libro). La storia inizia in modo tranquillo, con un gruppo di ambientalisti che protesta contro degli esperimenti nucleari fatti dall'esercito francese in un'isola e si impadronisce di questo piccolo paradiso. Anche a me è sembrato un po' troppo facile il modo in cui gli ambientalisti riescono ad allontanare l'esercito dall'isola, ma ci si può soprassedere. Una volta giunti a destinazione, sembrerebbe che il compito del gruppo di protagonisti sia quello di creare una sorta di paradiso per le specie animali in via d'estinzione. Ma in realtà ognuno dei componenti della spedizione ha delle aspettative diverse sul modo in cui sfruttare l'isola, e la missione ambientalista si rivela essere una scusa per un piano ben più folle. Man mano che il film progredisce, l'atmosfera diventa sempre più cupa, malsana e angosciante, in un climax davvero riuscito, fino a raggiungere un apice notevole nella parte finale. I personaggi pian piano mostrano il loro vero volto e quello che doveva essere un paradiso si trasforma in un inferno, o una prigione. Man mano che l'atmosfera si fa più inquietante, infatti, sembra di entrare progressivamente in una dimensione quasi fuori dal mondo, dove l'isola è il mondo intero, e dalla quale non si può fuggire. Le persone che sembravano amiche diventano dei pericolosi assassini da cui bisogna stare alla larga. L'isola diventa una sorta di piccolo regno popolato e governato esclusivamente dalle donne, considerate dalla dottoressa Barbara Rafferty, artefice di tutto il folle progetto, la più importante specie vivente in via d'estinzione, che necessita di essere protetta (e a questo serve l'isola). Gli uomini sono esclusi del tutto: chi non muore per cause naturali, per una malattia che colpisce solo gli uomini, come se la natura collaborasse con Barbara nel suo piano, viene massacrato dalle donne. L'unico maschio “eletto” è Neil, il più giovane membro della spedizione, affascinato e quasi ossessionato dalla figura di Barbara, che ha su di lui un ascendente incredibile e che lo manipola come le pare e piace. Ma il compito di Neil è semplicemente quello di mettere incinte le donne: una volta terminato il compito, anche lui sarà costretto a fuggire per evitare di essere massacrato dalle donne, come successo agli altri uomini della spedizione. È evidente insomma che il tema del rapporto uomo-donna sia centrale all'interno del film, e per quello che conosco di Von Trier, è un tema tipico del suo cinema. Mi ha colpito il fatto che in genere, da quello che so, in Von Trier sono le donne quelle che subiscono; invece ne “Il paradiso del diavolo” le donne sono la “razza dominante”, il sesso forte, contro cui gli uomini non possono nulla, se non cercare la fuga. C'è una sorta di ribaltamento di ruoli, che ho trovato interessante. Non mancano poi le scene visionarie ed enigmatiche: le visioni di Neil (la bomba atomica, l'immagine di Barbara nuda nel fondo del mare), la scoperta del rozzo dipinto... Molti inoltre hanno criticato la mancata introspezione psicologica della maggior parte dei personaggi, ma io credo che in un film come questo non bisogna cercare figure a tutto tondo e profonde descrizioni psicologiche: in un film come questo i personaggi sono più che altro simbolici, rappresentano ed estremizzano determinati concetti, ma è evidente che non possono essere considerati davvero “umani” o “realistici”. In questo senso, i due protagonisti, Barbara e Neil, sono perfettamente riusciti. Barbara è un personaggio notevolissimo, la cui progressiva regressione fino alla follia più totale, ma sempre accompagnata da un'apparente lucidità che mette davvero i brividi, è descritta molto bene; e Sharon Stone, fisicamente perfetta per il ruolo, dà davvero il meglio di sé, perché interpretare un personaggio del genere non era affatto facile. Oltre a lei, è vero che gli altri personaggi sono molto meno memorabili. Neil, che è la figura con cui lo spettatore si identifica più facilmente, è un personaggio abbastanza classico, anche se Jamie Campbell Bower offre comunque una buona performance. Gli altri restano sullo sfondo e alcuni sono davvero appena abbozzati (le due drogate). Mi sarei aspettato di più da Sophie, che invece resta un personaggio fin troppo secondario e il cui cambiamento è improvviso e radicale, in seguito all'indottrinamento di Barbara; Charlotte Gainsbourg in ogni caso è forse un po' sprecata, ma ci stava per creare l'atmosfera “alla Von Trier”. Mi è piaciuto Kiefer Sutherland, che ha il personaggio forse più simpatico di tutti. In generale, dunque, sono molte le cose che ho apprezzato di questo film, ma complessivamente non lo trovo del tutto riuscito. O meglio, da un'analisi oggettiva mi rendo conto che ha molte qualità, ma soggettivamente mi ha lasciato molto spiazzato. Il problema è che in generale questo “alla Von Trier” è un tipo di cinema che mi convince poco e “Il paradiso del diavolo”, appartenendo appieno a questa categoria, ne riprende (giustamente) tutte le caratteristiche, anche quelle che mi lasciano perplesso. Mi è sembrato insomma un film volutamente controverso e un po' studiato apposta per impressionare e sconvolgere, inserendo un po' di sesso, un po' di violenza, un po' di scene sgradevoli e un po' di scene enigmatiche per creare atmosfera (oltre a quelle già citate, mi viene in mente la scena in cui Kimo assale e ammazza l'hippy; ma in generale tutto il personaggio di Kimo è un enigma). È indubbio che sia un'opera interessante, ma mi è sembrata un'operazione anche un po' furba, come se dietro a tutte queste scene scioccanti non ci sia altrettanta sostanza. La colonna sonora mi è sembrata buona, anche se forse non memorabile come altre di Andrew. Molti brani provengono da altri film del regista, ma va bene così, dato che noi non abbiamo la possibilità di farci comporre una soundtrack apposita. Ad ogni modo, penso che l'obiettivo principale di Andrew fosse quello di fare un film in linea con quelli di Lars Von Trier, e in questo ci è pienamente riuscito. Non lo considero affatto un film minore della sua filmografia, o un film fatto in un periodo di crisi, anzi; credo che sia un tassello importante nella sua carriera, perché dimostra che è in grado di fare anche pellicole di questo tipo, così particolari e così enigmatiche, restando in linea coi film di un regista sicuramente difficile da utilizzare su Cinematik. Il fatto che non rientri tra i miei preferiti di Andrew e che il voto non sia altissimo dipende dai motivi sopra citati.
VOTO: 7
Aggiungo un paio di cose. Anche io ho trovato abbastanza fuori luogo i richiami al libro fatti da Mastruccio. Un film tratto da un libro va comunque considerato come un'opera a sé stante, e quindi non ha senso criticare certi tagli o certi cambiamenti operati da Andrew. Sono scelte che ha fatto, ma noi dobbiamo valutare solo quello che ci troviamo di fronte, senza considerare quello che c'era in più nel libro. Dobbiamo giudicare il film esclusivamente per quello che è, senza confrontarlo con la storia del libro.
Poi, ma questo è un discorso generale, ho notato anch'io che in moltissime recensioni viene criticata la brevità dei film. E mi sembra davvero strano, perché rispetto a qualche anno fa i film che escono adesso sono tutti di una durata più che accettabile. Ricordiamoci che Cinematik è Cinematik, non il cinema reale. Ha poco senso criticare un film perché magari nella realtà durerebbe troppo poco. Su Cinematik il limite è quello dei 30.000 caratteri, che sono pochi, ma fino a prova contraria un film che supera questo limite va considerato tale. In passato ho letto sceneggiature premiate e apprezzate che erano davvero corte (penso a tutti i film di Emilz, che erano sempre brevissimi ma spesso riscuotevano un buon successo). Anche perché se tutti i film che uscissero durassero 3h, Cinematik non sarebbe più un gioco, ma costerebbe davvero fatica. Quindi ben vengano i film non troppo lunghi come "Il paradiso del diavolo" o "Seven Days".
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