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La grande bellezza (di Paolo Sorrentino)

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mastruccio
view post Posted on 22/5/2013, 22:23




CITAZIONE (mastruccio @ 16/5/2013, 15:46) 
Scommettiamo che uscirà subito dopo il libro della sceneggiatura?

Lo so che non è bello, mi autocito solo perchè il libro è già uscito in libreria. E' l'intera sceneggiatura.
 
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view post Posted on 23/5/2013, 08:54
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CANNES – «Fellini dichiarava di essersela inventata la Roma della Dolce vita e di Otto e mezzo. E poi quello era un capolavoro, il nostro è un film». Paolo Sorrentino a Cannes gioca in casa: tutti suoi film hanno avuto la benedizione del festival, il premio della Giuria nel 2008 a Il divo ha coinciso con la consacrazione internazionale. La grande bellezza, dopo aver diviso i critici, ora affronta il doppio esame: quello della giuria del festival presieduto da Steven Spielberg e quello del pubblico italiano (è appena uscito nei nostri cinema). Nessuna ambizione, spiega il regista napoletano di farne un Otto e mezzo del 21esimo secolo: sbaglia, dice, chi lo interpreta come una parabola sull’Italia del presente. «Una lettura approssimativa e superficiale fa pensare che parli del presente, ma avrei potuto farlo dieci anni fa o tra dieci anni e non sarebbe cambiato molto. Il film si interroga su sentimenti, sulle dinamiche degli esseri umani, la grande bellezza della fatica di vivere, dello scorrere del tempo».

ROMANZO VIVENTE - Quelle feste in cui Jep Gambardella/Toni Servillo semina il suo talento, in cui è facile riconoscere spezzoni di attualità, non sono il cuore del film, ma uno sfondo, in cui Jep, come spiega Servillo, sempre più alter ego di Sorrentino (che il regista spiega così: «Lavoriamo così spesso insieme per uan combinazione ottima di senso della famiglia e sua capacità di essere sempre imprevedibile e inedito, spreca con indifferenza il suo talento». Come Flaiano diceva di Soldati, «anche Gambaredella sembra l’unico capace di vivere la propria autobiografia. E come Flauberto non essendo stato capace di scrivere il romanzo sul niente, ha continuato a scrivere vivendo. Non è riuscito a scrivere il nuovo romanzo dopo L’apparato umano e allora lo vive, muovendosi in questi ambienti romani, mondi dove si officiano diversi riti». Mondi popolari non da nuovi mostri giudicati dal di fuori, ma persone che inanellano occasioni mancate. «Fellini con La dolce vita - spiega Servillo - che doveva intitolarsi La grande confusione, guardò Roma dolcemente appoggiato a una balaustra e vide un’Italia che viveva sulla spinta del rilancio dopo la guerra. Per Paolo nessuna balaustra, è caduto nella tromba delle scale».

CINISMO – «Non cercavo facili giudizi. C’è una battuta che nel film dice il personaggio della santa: la povertà non si racconta ma si vive. Ho provato anche io non a raccontare ma esprimere una povertà di un altro tipo, senza facili giudizi». Ci siamo anche noi sull’orlo del baratro, sostiene Sorrentino. «Non si vive di solo cinismo, il personaggio di Jep è anche molto sentimentale. Si sente il lui il mio debito nei confronti di Napoli. È anche un omaggio a meravigliose figure ormai in via di estinzione per questioni anagrafiche: superficiali e profondi insieme, senza mai essere snob». Ma la protagonista del film, così imponente da inglobarlo tutto è Roma. «La burocrazia non ci ha permesso di girare in tutti i luoghi che avevamo in mente. Il mio rapporto con Roma è lo stesso dei protagonisti: continuo stupore e meraviglia».

ITALIANI E STRANIERI – «Sorprendente festa cinematografica che onora Roma in tutto il suo splendore e superficialità» (Variety); «La grande bellezza è molto più di un inchino riverente, ripartendo da dove "La dolce vita" ci ha lasciati 53 anni fa» (Hollywood reporter); «Fin dalle prime immagini di La Grande Bellezza, si capisce che ci siamo! Questa altezza della visione estetica, questa disperazione crepuscolare, danno a La Grande bellezza l’impronta di una “summa filmica”, del testamento di un vecchio maestro, salvo che il “vecchio maestro” in questione ha 42 anni» (Première); «La grande bellezza, come la grande tristezza, può significare amore, sesso, arte o morte, ma soprattutto significa Roma, e il film vuole annegare nell’insondabile profondità della storia e della mondanità romana» (The Guardian). La stampa internazionale ha promosso il film. Sorrentino apprezza e polemizza: «Anche con Il divo qualcuno mi diceva che gli stranieri non avrebbero capito. Invece capiscono benissimo. Si viene a Cannes proprio per avere una platea internazionale. Persiste il preconcetto che gli stranieri amino i film che parlano male dell’Italia, ma loro cercano solo dei bei film, punto. Il cinema italiano è vivo, per abitudine stravagante lo si stronca a priori».

FESTA - Tutto il suo cast (Carlo Verdone e Sabrina Ferilli in testa) fa quadrato intorno a Sorrentino. A Cannes è arrivato anche il ministro Bray. Dopo la proiezione ufficiale sono tutti attesi a Villa Oxyegen, per la festa organizzato da Pathe e Disaronno. Chissà cosa direbbe Jep Gamabardella.
 
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Mr.Noodles
view post Posted on 26/5/2013, 12:18




è evidente fin dai primi minuti che l'ambizione è sempre e comunque padrona a casa Sorrentino. si sente l'ombra di Malick nelle prime e più avvolgenti sequenze, con quel risveglio sulla Città Eterna, si vede Fellini durante la festa di compleanno che si conclude con quel campo lunghissimo diviso a metà, tra la terrazza e l'insegna MARTINI. l'Italia Oggi vista attraverso la monumentalità decadente della sua capitale, il decadentismo sfatto di una alta borghesia che si crogiola nell'opulenza e nella vacuità del pettegolezzo è la chiave di lettura per leggere una "grande bellezza" cercata per tutta la vita e alla fine messa da parte da coltri di cinismo e disillusione. Sorrentino come al solito esagera, non sa fare a meno del dolly. dello sfoggio del virtuosismo tecnico, ma la vacuità del suo linguaggio può rappresentare la vacuità di quello dei suoi personaggi? ebbene, è qui la contraddizione, perché è qui che la bellezza del gesto (per citare Lavant in "Holy Motors") non è mai fine a se stessa, così come il celiare dei protagonisti che si scambiano continuamente aforismi, che esplorano ogni argomento possibile (aforismi che nemmeno Oscar Wilde avrebbe avuto il coraggio di scrivere e, per di più, nella stessa opera!). la sentenziosità nella scrittura è limite eterno che col tempo si è aggravato ("This Must be the Place" ha segnato il passo) e, in tal senso, "Il divo" funzionava perché si usavano le battute vere di Andreotti e, a parte qualche sottolineatura, gli altri parlavano abbastanza normalmente. ciò che dice il personaggio dovrebbe riflettere un suo stato d'animo, un suo pensiero di cui la parola sottolinea lo sviluppo. ma non c'è alcun sviluppo quando tutti i pensieri sono formati a priori, già scritti e impacchettati a mo' di sentenza. non c'è quindi un reale interesse per lo sviluppo dei personaggi perché essi sono strumenti fittizi dell'emanazione dell'autore. a me questa tecnica sarebbe andata pure bene se al centro ci stesse il gioco metalinguistico, la sperimentazione formale.* però, checché paraculescamente dica Jep, citando "il parlare di niente" di flaubertiana memoria, Sorrentino vuole parlare di tutto. la citazione di Flaubert è solo fumo negli occhi, Sorrentino va esattamente nella direzione opposta (senza considerare la distanza stilistica) e ciò è dimostrato dal finale, quando Jep trova una destinazione al suo peregrinare: la decisione di scrivere "La grande bellezza", il suo secondo romanzo. io a questo punto avrei preferito di 2 ore di dolly avvolgenti sull'architettura romana con Jep che passeggiava o 2 ore di feste trash. la grandezza, ad esempio, di Fellini era che tutti i personaggi (pur appartenendo al mondo felliniano) erano dotati di una coscienza, Fellini li fa danzare, parlare, c'è reale polifonia. quello di Sorrentino è un monologo. ma il suo, condotto in maniera solipsista e persino urlata, perché - e ripeto una cosa che andavo dicendo dopo aver visto "This must be the place" - il linguaggio cinematografico ha un suo senso, se tu scrivi tutto in maiuscolo, se tu sottolinei, se tu evidenzi ogni scena, non mi si può poi parlare di "grande bellezza" - a meno che di non confinare tutto al tecnicismo (nemmeno al formalismo). come lo vedreste voi un romanzo scritto così? perché, in soldoni, stiamo parlando di questo...


* forse Sorrentino si doveva limitare a fare la trasposizione di Cafonal di Dagospia senza inerpicarsi in territori dove ha perso la bussola. si possono tributare i giusti onori per il coraggio, la sfrontatezza, la padronanza tecnica. ma è comunque un tributo che sa di delusione, perché la poesia più sublime si schianta in quella più spicciola e facilona (vogliamo parlare del dolly che si posa a piombo sulla pseudo-Madre Teresa** così da sembrare la pubblicità dell'8x1000? oppure dei fenicotteri all'alba?). e quindi sì, continueremo a sopravvalutare Sorrentino, perché in Italia di registi da sopravvalutare ce ne sono rimasti pochi.


** onestamente questa è la parte che ho faticato a digerire, perché lei e il cardinale-cuoco sono la satira più pusillanime verso la Chiesa e da Sorrentino mi aspettavo qualcosa che fosse per lo meno più pungente.
 
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view post Posted on 27/5/2013, 14:13
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Cinefilo Ad Honorem

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Non sapevo che avessero re-intitolato il film dopo la disfatta di Cannes, comunque ora secondo il sito del Corriere il film è La bellezza infinita. :wacko: ^_^
 
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Arcadia1983
view post Posted on 29/5/2013, 07:06




visto ieri. così ho scritto come stato su FB (a caldo, quindi c'è qualche esagerazione un po' volgare, scusate):

CITAZIONE
bah... Paolo Sorrentino, ricordo quando presentasti "L'amico di famiglia" alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri con Valerio Caprara, che all'epoca era uno che ci capiva (da un po' di tempo ha preso di quelle cantonate, però, anche se resta sempre meglio di tanti altri che scrivono tanto per scrivere: ciao, quelli del canale 49 del digitale terrestre. e non solo loro). Mi avvicinai a te, dopo l'incontro, per chiederti l'autografo sul mio taccuino Moleskine, autografo che (credimi) conservo gelosamente, e tu sussurrasti: "Ma io non sono un attore". Apprezzai tantissimo quel pigolio pieno di umiltà. Umiltà che nel corso degli anni devi aver, ahimè, perso (forse perché il film che presentavi, "L'amico di famiglia", andò malissimo?). Posso capire e perdonare la ubris che hai avuto nell'affrontare il Divo Giulio, chiunque l'avrebbe avuta nell'aver a che fare con il Nosferatu della politica italiana (e quel porco mafioso ti ha ispirato, in fondo, quello è che il tuo miglior film), posso capire la presunzione del passo falso "This Must Be The Place" (sia benedetto Sean Penn che sa essere bravo sempre comunque), ma la presunzione di paragonarti a un grande come Fellini (che, ovunque sarà, starà maledicendoti ogni secondo), no, questo non posso perdonartelo. Soprattutto quando è palese che, nonostante tu ci provi, i film non sai scriverli: e questo vale anche per il tuo cosceneggiatore. I personaggi del tuo ultimo film sono: odiosi (tutto il codazzo attorno a Jep), stereotipati (la borghesia che ritrai è stata vista mille volte al cinema e in letteratura, anticipavo le loro battute o sapevo che avrebbero detto: anche Bunuel starà maledicendoti), senza senso (Sabrina Ferilli. Perché? Che senso ha nell'economia della storia il suo personaggio?), stupidi nonostante abbiano le librerie piene di libri Adelphi (uff...) ed Einaudi (sì, dimmi ancora una volta quanto è cattivo il padrone di Einaudi, che guarda caso è pure il produttore/distributore del tuo film) e citino, con supponenza (la supponenza italica di chi legge - ? - determinati autori ma non li assimila...) Flaubert e Breton, ridicoli (il figlio di Pamela Villoresi... la macchietta più insulsa di tutta la pellicola). Ma fossero solo i personaggi: le tue scene, che significato hanno? Che senso ha mostrare la morte di un giapponese? I fenicotteri? I primi 20 minuti? Capisco che dovevi mostrare quanto sei bravo a muovere la macchina da presa, ma se voglio vedere la sega di un pavone (non quello meccanico di Ejzenstein, ahimè)... be', meglio vedere qualcos'altro, no? Ecco, sì, meglio vedere qualcos'altro e spendere i 4 euro del biglietto per qualcos'altro.
 
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view post Posted on 29/5/2013, 08:58
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Cinefilo Ad Honorem

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CITAZIONE (Arcadia1983 @ 29/5/2013, 08:06) 
visto ieri. così ho scritto come stato su FB (a caldo, quindi c'è qualche esagerazione un po' volgare, scusate):

CITAZIONE
bah... Paolo Sorrentino, ricordo quando presentasti "L'amico di famiglia" alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri con Valerio Caprara, che all'epoca era uno che ci capiva (da un po' di tempo ha preso di quelle cantonate, però, anche se resta sempre meglio di tanti altri che scrivono tanto per scrivere: ciao, quelli del canale 49 del digitale terrestre. e non solo loro). Mi avvicinai a te, dopo l'incontro, per chiederti l'autografo sul mio taccuino Moleskine, autografo che (credimi) conservo gelosamente, e tu sussurrasti: "Ma io non sono un attore". Apprezzai tantissimo quel pigolio pieno di umiltà. Umiltà che nel corso degli anni devi aver, ahimè, perso (forse perché il film che presentavi, "L'amico di famiglia", andò malissimo?). Posso capire e perdonare la ubris che hai avuto nell'affrontare il Divo Giulio, chiunque l'avrebbe avuta nell'aver a che fare con il Nosferatu della politica italiana (e quel porco mafioso ti ha ispirato, in fondo, quello è che il tuo miglior film), posso capire la presunzione del passo falso "This Must Be The Place" (sia benedetto Sean Penn che sa essere bravo sempre comunque), ma la presunzione di paragonarti a un grande come Fellini (che, ovunque sarà, starà maledicendoti ogni secondo), no, questo non posso perdonartelo. Soprattutto quando è palese che, nonostante tu ci provi, i film non sai scriverli: e questo vale anche per il tuo cosceneggiatore. I personaggi del tuo ultimo film sono: odiosi (tutto il codazzo attorno a Jep), stereotipati (la borghesia che ritrai è stata vista mille volte al cinema e in letteratura, anticipavo le loro battute o sapevo che avrebbero detto: anche Bunuel starà maledicendoti), senza senso (Sabrina Ferilli. Perché? Che senso ha nell'economia della storia il suo personaggio?), stupidi nonostante abbiano le librerie piene di libri Adelphi (uff...) ed Einaudi (sì, dimmi ancora una volta quanto è cattivo il padrone di Einaudi, che guarda caso è pure il produttore/distributore del tuo film) e citino, con supponenza (la supponenza italica di chi legge - ? - determinati autori ma non li assimila...) Flaubert e Breton, ridicoli (il figlio di Pamela Villoresi... la macchietta più insulsa di tutta la pellicola). Ma fossero solo i personaggi: le tue scene, che significato hanno? Che senso ha mostrare la morte di un giapponese? I fenicotteri? I primi 20 minuti? Capisco che dovevi mostrare quanto sei bravo a muovere la macchina da presa, ma se voglio vedere la sega di un pavone (non quello meccanico di Ejzenstein, ahimè)... be', meglio vedere qualcos'altro, no? Ecco, sì, meglio vedere qualcos'altro e spendere i 4 euro del biglietto per qualcos'altro.

beh, per 4 euro non ti è andata manco troppo male. :P
comunque è la prima volta da tantissimo tempo a questa parte che trovo il personalissimo ennesimo sfogo di Arcadia sensato. ;)
Spezzo una lancia in favore dell'umiltà personale di Sorrentino, ma io in effetti l'autografo me lo feci fare da Servillo (la presentazione era quella de Le conseguenze dell'amore).
 
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Arcadia1983
view post Posted on 30/5/2013, 09:15




CITAZIONE (marenarobros @ 29/5/2013, 09:58) 
comunque è la prima volta da tantissimo tempo a questa parte che trovo il personalissimo ennesimo sfogo di Arcadia sensato. ;)

ogni tanto l'azzecco anche io :P
 
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view post Posted on 30/5/2013, 15:55
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Cinefilo Ad Honorem

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Qualcuno di mia conoscenza sta dicendo che c'era già tutto nei film di Jerry Calà Gli inaffidabili e Vita smeralda.
 
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Arcadia1983
view post Posted on 30/5/2013, 17:16




ma anche (un po') in un qualsiasi show televisivo.
 
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view post Posted on 30/5/2013, 17:27
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Cinefilo Ad Honorem

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CITAZIONE (Arcadia1983 @ 30/5/2013, 18:16) 
ma anche (un po') in un qualsiasi show televisivo.

Inchessenso? Calà si poneva già in maniera critica di questo sistema "di chiacchiericcio" (cit.), di feste e borghesia pseudo-intellettuale...
 
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Arcadia1983
view post Posted on 30/5/2013, 17:29




CITAZIONE (marenarobros @ 30/5/2013, 18:27) 
CITAZIONE (Arcadia1983 @ 30/5/2013, 18:16) 
ma anche (un po') in un qualsiasi show televisivo.

Inchessenso? Calà si poneva già in maniera critica di questo sistema "di chiacchiericcio" (cit.), di feste e borghesia pseudo-intellettuale...

le feste, le ho trovate tutte posticce e finte, costruite (ma nel senso peggiore del tempo). siccome anche la tv è abbastanza finta, ecco che mi è venuto il nesso, che si riferisce più al modo di tessere la storia di Sorrentino, in effetti credo di non essere stato chiaro, sorry.
 
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emilgollum
view post Posted on 30/5/2013, 18:59




CITAZIONE (marenarobros @ 30/5/2013, 16:55) 
Qualcuno di mia conoscenza sta dicendo che c'era già tutto nei film di Jerry Calà Gli inaffidabili e Vita smeralda.

Jugger immagino. :P
 
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World ^_^
view post Posted on 5/6/2013, 11:54




L'ho visto e, sinceramente, se non ne ho parlato ancora è perchè - a una settimana dalla visione - non so ancora cosa dirne. Insomma non so se mi è piaciuto o no, e se sì in quale misura.
Come cacchio è possibile? :unsure:
Mai capitata una cosa del genere, fatto sta che dopo una settimana mi capita di ripensarci spesso, ciò vuol dire che qualcosa me l'ha lasciato...
 
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view post Posted on 9/6/2013, 14:33
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Cinefilo Ad Honorem

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Pensavo di annoiarmi, e non è stato così (sono stato indeciso infatti fino all'ultimo se andarlo a vedere, ma Sorrentino non meritava la NON visione al cinema, devo essere sincero). Pensavo che le troppe critiche lette in giro (ne segue un'altra dopo il mio commento) mi avessero influenzato, e invece, pur trovandomi d'accordo con tutte (divertente stroncare un film così, anche facile se vogliamo), il film mi è piaciuto (e non devo pensarci su ancora molto come Gaetano). E in fondo Sorrentino sbraca quando è senza Servillo, ma se Toni è il suo primo critico, qualcosa si è salvato anche stavolta. Dite che è poco per un regista così ambizioso?

ps: davanti a me e Coly (tra l'altro ci siamo persi l'inizio) c'era praticamente il Jep Gambardella dei poveri, che insisteva per fumare la sigaretta elettronica in sala, e che quando è finito il film si è alzato prima di tutti e lapidario ha sentenziato al vicino di poltrona: -"Bello! Ce ne andiamo?" che è forse il miglior riassunto del film.

Infine un pregio ce l'ha: io che non sono per nulla un felliniano, forse mi deciderò a vedere almeno La dolce vita e Otto e mezzo, prima di definirmi un anti-felliniano a tutti gli effetti.

---

dal Blog di Filippo Facci
CITAZIONE
Ho conosciuto Paolo Sorrentino in una dimensione che ha contribuito all’equivoco: una serata a casa di Roberto D’Agostino e della moglie Anna Federici, ovviamente a Roma, sulla loro terrazza che si affaccia sulle anse del Tevere e si offre pienamente alla Grande Bellezza. Parlammo dei suoi film e di cose varie. Sorrentino era lì dichiaratamente per cercare e studiare atmosfere che potessero essere utili al suo film, e che, come ora è evidente, non trovò o forse non volle utilizzare. Era nel posto migliore per coglierle, per carpirne dialoghi e spirito: ma non lo fece. L’unica spiegazione del resto è questa: che Paolo Sorrentino non abbia minimamente tentato di fare il film che tutti pensano abbia tentato di fare, o pensano che volesse fare. Niente «Dolce vita» in versione aggiornata, per capirci.

Ci sarebbe il solito colossale equivoco, insomma: perché il suo non è un film prettamente su Roma e cioè sull’eterna Roma da basso impero che molti aspettavano, la stessa che in qualche modo imparentava al Cafonal carnevalesco che Umberto Pizzi e Roberto D’Agostino fotografano da 13 anni, la stessa che altri cronisti di passaggio – i soliti Fellini e Arbasino tra questi – hanno affrescato in epoche diverse e al tempo stesso identiche. Quella del film non è Roma, o non particolarmente: non lo è e basta, neppure in caricatura, quei chirurghi plastici non esistono, quelle feste discotecare non esistono o sono più milanesi che romane, così come inesistenti o meneghine sono le caricature delle performance d’arte moderna alla Marina Abramovic, vacuamente ridicolizzate in uno dei tanti e rinunciabili coitus interruptus di cui è disseminato il film. Non esiste un settimanale come quello diretto dalla direttrice nana, non esiste quell’ufficio col peluche gigante e il minestrone riscaldato, non esiste uno scrittore-grande-firma stile Jep Gambardella che oltretutto non è chiaro neppure come potrebbe campare, oggi: soprattutto in una casa con terrazza sul Colosseo che, tanto per cambiare, credo non esista. Così come non esistono i nobili in affitto (cioè: esistono, ma sono nobilastri, e non sono affatto tristi) e non esistono certe altre caricature bozzettistiche che imbottiscono il film come certi panini di McDonald’s, che non sai da che parte morderli.

Esistono, quelle sì, le personalissime proiezioni di Paolo Sorrentino della grande bruttezza: il dominio della coca, le stronze, i parassiti, le attricette, gli scrittorucoli, «le ricche», gli industrialotti, i cardinali da talkshow, il perverso paese dei balocchi coi suoi maghi e le giraffe e i lanciatori di coltelli; ma sono visioni personali, appunto, e forse basterebbe ripeterlo. Del resto non è neppure chiaro perché dovessimo aspettarci qualcosa di diverso: di verista, nei film di Sorrentino, non c’è mai stato nulla. Non esiste il mondo del calcio e della canzone descritti ne L’uomo in più, non esiste la Svizzera de Le conseguenze dell’amore, non esiste la Sabaudia de L’amico di famiglia (il suo film più bello, ritenuto il più brutto) e tantomeno sono esistiti il Paese e la Roma politica descritti ne Il divo, il film che grazie alle surreali e suggestive descrizioni di alcune stanze del potere, forse, ha contribuito a qualche aspettativa fuori luogo. Insomma i film sono plagio più fantasia, e grazie tante, lo sapevamo, infatti il problema pare un altro: capire perché Sorrentino abbia voluto ricorrere alla fantasia quando la realtà – se avesse voluto coglierla – la supera di gran lunga. Le critiche più feroci al film, stringi stringi, sono tutte qui: non perché un regista non abbia diritto alle sue visioni, ma perché le sue visioni questa volta non sono parse gran cosa proprio in termini di scrittura e sceneggiatura.

Ora, di rito, andrebbe fatta la contabilità delle cose che mancavano nel film. Mancava la contaminazione politico-editoriale-letteraria classica romana, impastata di cinismo millenario e imbucata da personaggi spesso impagabili. C’erano i nani, c’erano le ballerine, ma neppure un acrobata, un domatore da circo, solo Jep Gambardella che poi alla fine non era Gambardella, era Servillo come al solito. Era più squallida che grande, la bruttezza: impersonale, da esportazione, senza la grandiosità dei veri mostri che avviluppano la Capitale e che forse erano più presenti in quella serata a casa di Roberto D’Agostino che in tutti i dialoghi da terrazza del film. Forse mancava semplicemente la Rai. La macchietta della miliardaria comunista cornuta e con piscina, coi suoi cliché, non l’avrebbero scritta così neppure i più vetusti lettori di Libero o del Giornale: se il senso era rendere il sinistrismo in cachemire, allora, tanto valeva piazzarci Concita De Gregorio nella terrazza mediatica di Ballarò.
Jep Gambardella, come molti di noi, e come Sorrentino, «non può più perdere tempo a fare cose che non ha voglia di fare»: ma Roma ridonda di gente che ha tutto il tempo per fare tutto, e però non sa neppure che cosa abbia realmente voglia di fare, non l’ha mai saputo. La vacuità di Isabella Ferrari in tal senso era perfetta, del resto è la sua parte da tutta la vita. Lo era anche Serena Grandi deformata e cocainomane. E anche Sabrina Ferilli: perché non recitava. Mancava però sua maestà l’indifferenza, il forzato disincanto dei romani anche di fronte ai pochi incanti che restano e che non sanno riconoscere, mancava l’ipocrisia esibita, la grande commedia della piaggeria.

E poi, lentamente, scivoliamo verso la Grande Bellezza, quella che la critica ha snobbato – proprio perché non la merita, non la riconosce – e che io giudico la parte più riuscita del film. È vero che c’era il trucco: la musica. Del mio breve scambio con Sorrentino ricordo che scherzammo e che definimmo i film come una scusa per piazzarci musica a piacimento: gli avevo detto che avrei salvato Il Divo anche soltanto per la scena della passeggiata notturna di Andreotti con la Pavane di Fauré. Ma ora si fa più complicata. Sorrentino ha ripescato il terzo movimento della Terza di Gorecki (che fa molto sinistra cachemire, e che io, giuro, stavo ascoltando due ore prima di vedere il film) più una serie di delizie sceltissime e validi interludi di Lele Marchitelli. Con certi sottofondi (soprafondi, dovrebbero chiamarli) personalmente troverei la Grande Bellezza anche di fronte a immagini di Bombolo e Tomas Milian, ma io non faccio testo, io non sono un critico istituzionale, non sono un romano brutto di quelli che la musica è musica, vabbeh, e il film, vabbeh, forse era un po’ lungo. La Grande Bellezza, nel film, c’era perlomeno per chi era interessato a vederla: ai più, invece, è parso interessare solo il tasso di riconoscibilità della bruttezza, come se relegassero a scontato fondale – e siamo al problema – le silenziose albe romane con la loro luce radente e fotografica, i dipinti e le statue della Roma segreta, gli scorci mozzafiato, i giardini degli aranci, il banalissimo contrasto – nessun timore ad ammetterlo – tra la grande bellezza dell’arte classica e l’apatia dei romani che non conoscono Roma ma s’accalcano dietro a ogni manzoniana merda d’artista. A Roma non c’è da accumulare modernità in case labirintiche: c’è da aprire bene le finestre. In sintesi la Grande Bellezza c’era, e il titolo del film dopotutto era questo: mancava la vera bruttezza, ma è meglio del contrario.

Poi sì, lungo la pellicola corre parallela anche la bellezza dell’inespresso, dell’ambizione non realizzata da Jep Gambardella e da intere generazioni. Anche qui niente di nuovo: ma perché, dovrebbe esserci? Quel flusso audiovisivo forse non abbisognava neppure di frasi sospese e analgesiche in stile Terrence Malick: la frase «la povertà non si racconta, si vive» a quanto pare è piaciuta, «mangio le radici perché le radici sono importanti», invece, è parsa una stronzata. Il duplice riferimento al Flaubert che voleva scrivere un romanzo sul niente (in realtà «su niente», che è diverso) non tiene conto di una ricchezza che Flaubert non aveva: il cinema. Forse ci avrebbe provato, come ci ha provato Sorrentino col suo niente «incompleto» per definizione. Che poi capita spesso, di dire che un film è incompleto, che è un’occasione mancata, che mancava questo e quello: ma è perché in realtà ci è piaciuto, e vorremmo che proseguisse.

(Pubblicato su Libero)
 
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view post Posted on 9/6/2013, 16:15




Dopo giorni di "sedimentazione" posso dire che il film mi è piaciuto, perchè sicuramente mi ha dato tanto da pensare e il personaggio di Jep Gambardella, checchè se ne dica (ne ho lette di tutti i colori, c'è anche chi l'ha criticato semplicemente per l'accento napoletano, mah, quando non si sa cosa dire... :rolleyes: ), mi ha conquistato veramente.

E' un film che dice tanto (forse troppo?) ma io l'ho trovato coraggioso e con una sua innegabile dignità, anche se non perfettamente riuscito. Il film era già atteso con molte aspettative da un lato e con fucili spianati dall'altro, diciamocelo. Non era facile, ma Sorrentino ci ha provato a dipingerela miseria (soprattutto culturale) dell'Italia attuale attraverso il caleidoscopio "romano" e anche se non ci è riuscito appieno con un'opera di omogenea bellezza, ha regalato emozioni forti e immagini di rara potenza. Infine, immagino sia facile e un po' normale definire "odioso" un film del genere, perchè è come quando ti dicono la verità in faccia... non puoi negarla e allora dici a chi ti tratta con tanta schiettezza che è uno stronzo.

Ce ne ho messo di tempo a fare "pace con me stesso", ma mi è piaciuto. Mi sono ritrovato a citare spesso Gambardella e persino a imitare la sua parlata "del Vomero" (o meglio alla Federico, di Federico Salvatore :) ) in questi giorni.
Lo potete criticare quanto volete, ma Sorrentino è il miglior autore attualmente in circolazione. Tiè.

p.s. Un altro paragone che mi è venuto in mente in questi giorni... un paragone tra le feste di Jep e quelle di Gatsby (facilitato anche dalla visione ravvicinata dei due film al cinema). Quello, però, era lo sfarzo di "anni ruggenti" inconsapevoli del baratro imminente, qui è un'ostentazione cafona "da basso Impero", a crisi ormai conclamata e riconosciuta dagli stessi protagonisti "prigionieri" (come definire diversamente Jep, che invidia la "normalità" della coppia che va a letto presto, in nome di una vita più autentica?)


CITAZIONE
Infine un pregio ce l'ha: io che non sono per nulla un felliniano, forse mi deciderò a vedere almeno La dolce vita e Otto e mezzo, prima di definirmi un anti-felliniano a tutti gli effetti.

Questa non l'ho capita. O meglio, credo di aver capito bene cosa intendi, ma suppongo pure che dopo la visione di Otto e mezzo, soprattutto, sarà difficile per te definirti "anti-felliniano". ;)

p.s. A volte la gente si rincorre e si autocita come pappagalli, con facilità (forse per l'ambientazione romana) si è scomodato Fellini e si è paragonato il film di Sorrentino a La dolce vita. Io ci ho visto più Otto e mezzo, proprio come sunto di una vita andata a finire così...
 
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167 replies since 12/8/2012, 14:12   1846 views
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