| L'entertainer (di Bruno Schiozzi) Con Fats Waller siamo solo per metà nel campo della musica jazz. L'altra metà è vaudeville, bourlesque, speakeasy. America tragica e turbolenta tra due guerre: un pezzo di civiltà in piena crisi. Riascoltarlo non basta, bisognerebbe poterlo vedere mentre suonava e cantava. Sotto questo aspetto non c'è un documento più raro del famosissimo film-pretesto Stormy Weather, stupidissimo ma ricco di brani musicali, tra cui la sequenza indimenticabile in cui - appunto - si esibisce Fats. Un cappello a bombetta sulle ventitré, troppo piccolo in cima al faccione rotondo e pallido (pallido come quello di molti mulatti), sul quale due folte e mobili sopracciglia sembrano tracciate con il carbone. Gli occhi nerissimi, grandi e sporgenti, spesso roteanti per "malizia", si direbbero disegnati da Walt Disney per la loro nitida evidenza. Ma naturalmente il richiamo più immediato, a livello di immagine, è quello di certi personaggi clowneschi delle comiche di Mack Sennet. E sotto i baffi, il grande sorriso dei bei labbroni carnosi: un sorriso dolce, e tuttavia un po' contratto, quasi un accenno di smorfia. L'obesità del personaggio, la sua vocetta stridula, la sua musicalità facile, la sua cordialità, il suo ricorso frequente a una certa volgarità, apparentemente bonaria: tutti questi connotati hanno attirato su fats Waller una simpatia generale, talvolta venata di imbarazzo. Tutti però, anche i più distratti e sprovveduti, tra il suo pubblico, hanno intuito che Fats Waller non può venire liquidato come un comico buontempone o un abile canzonettista. nel suo modo di esprimersi c'è sempre un uso consapevolissimo del grottesco, che non solo ridicolizza e sdrammatizza le canzoncine languide e sdolcinate, ma riesce a mettere in caricatura la burla stessa, la barzelletta, il troppo facile gioco di parole. Le sue tiritere, recitate con un fondo di distacco in un linguaggio composto di parole dotte, slang e strani neologismi, sono assolutamente incredibili, paradossali. In certi casi siamo di fronte a splendide trovate di controsensi, smisurate e raffinattisime. Non c'è mai banalità. Nel suonare, il suo stesso abuso di accordi arpeggiati e appoggiati, raggiunge, proprio insistendo in ricchezza e ridondanza, la nobiltà di uno stile che influenzerà Hines, Garner, Peterson e perfino l'intelligentissimo Art Tatum. La presenza corposa dei suoi bassi sfuma talvolta in una carenza evanescente. Una gentilezza impossibile e un 'eleganza non esteriore fanno lievitare questo personaggio e lo portano in una sfera rarefatta si astratto gioco, condotto con un costante pudore verso la retorica dei sentimenti. Morto giovanissimo, ha sempre conservato una sua immaturità fanciullesca, graziosamente goffa, che nascondeva qualche ansiosa ricerca di soddisfazione affettiva, forse soffocata e certo mai compensata dai suoi smodati e rovinosi appetiti di cibo e bevande.
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