CINECLASSIC di Francis Delane
Ed eccomi qua anch'io, che posso finalmente fare una recensione che, per accidenti vari, ho rimandato continuamente addirittura da Natale, dopo lo show delle due recensioni in una settimana (a proposito, perché nessuno ha letto quella del "Laureato", che era la seconda?). Ma bando alle ciance, eccovi...
THE BLUES BROTHERS (Usa 1980)
Diretto da John Landis; con John Belushi (Massimo Giuliani), Dan Aykroyd (Piero Tiberi), Cab Calloway (Sergio Fiorentini), James Brown (Angelo Nicotra), Aretha Franklin (Rita Savagnone), Ray Charles (Glauco Onorato), John Candy (Manlio De Angelis), Carrie Fisher (Micaela Esdra), Kathleen Freeman, The Blues Brothers Band, Jeff Morris (Michele Gammino), Henry Gibson (Gianfranco Bellini), Charles Napier (Luciano De Ambrosis), John Lee Hooker, Steven Spielberg, Frank Oz; musica coordinata da Ira Newborn; <b>scritto da <b> Dan Aykroyd, John Landis
TRAMA I fratelli Blues, Jake (Belushi) ed Elwood (Aykroyd), sono musicisti e piccoli delinquenti, costantemente ricercati dalla polizia più che altro per le loro numerose e spericolate infrazioni al codice stradale. Per salvare l'orfanotrofio in cui sono cresciuti, devono pagare 50'000 dollari di tasse: per accumularli, rimettono insieme la banda con cui suonavano e cercando di organizzare uno show. Intanto, però, si fanno nemici a ogni passo: nazisti, una ragazza (Fisher) piantata all'altare, un gruppo country a cui hanno soffiato l'ingaggio, e soprattutto la polizia...
LA STORIA Due le fonti e le basi per il film. Una è la musica blues, la musica degli schiavi neri, che qui ritrova le sue origini sottoproletarie (emerge molto chiaramente quando i Blues si recano nel quartiere nero, e nel numero musicale di Ray Charles dove il corpo di ballo è fatto solo di neri) e il suo afflato pseudo-cristiano (non a caso, l'idea ai Blues viene durante una Messa officiata da James Brown). Ma della musica si parlerà meglio sotto. L'altra ispirazione è la classica comicità americana, quella degli out-sider. Tutti i grandi comici americani (da Charlie Chaplin ai fratelli Marx, da Jerry Lewis a Woody Allen) si presentano come degli out-sider, delle persone escluse o dalla società tout court (Chaplin e i Marx), o dai suoi ideali (Lewis e Allen). E i Blues Brothers non fanno eccezione: nascosti da quella vera e propria divisa che sono i loro occhiali e i loro vestiti neri, essi sono degli alieni capitati chissà perché in questo mondo, estranei alle sue meccaniche e alle sue regole (vedi le loro spericolatezze in macchina). Da questo mondo, essi sono ferocemente perseguitati, tra Carrie Fisher che prova a ucciderli nelle maniere più svariate (bazooka, lanciamissili, lanciafiamme...) e la polizia che li insegue con risultati sempre e comunque disastrosi (gli inseguimenti automobilisti sono un gioco al massacro per le macchine). Loro vanno avanti, impassibili, sulfurei e imprendibili, "in missione per conto di Dio" come ripetono costantemente, distruggendo come un ciclone tutto ciò che toccano: la loro non è la comicità della caricatura (come quella dei Marx o di Woody Allen) ma quella della catastrofe, della distruzione. La musica è l'unico modo con cui possono essere ascoltati, l'unico momento in cui la loro inespressiva fissità di maschere prende vita, ma la loro è la musica dei sottoproletari, degli esiliati, dei tagliati fuori (come si diceva fuori). E alla fine, non smetteranno di suonare nemmeno in galera, consapevoli che la loro rivolta potrà essere arginata ma non fermata, scatenando anche lì un gran casino con il "Jailhouse Rock".
FOTOGRAFIA E MONTAGGIO Il montaggio non si basa sui primi piani, visto che gli occhi (la parte più espressiva del viso) sono sempre e costantemente coperti. Si basa più che altro sulle figure intere, sui mezzi busti, in modo da inquadrare sempre i due fratelli leggermente interi, rivalutando così le loro mosse rigide da maschera con una più ampia gamma di visioni. In tal modo, loro possono riempire lo spazio, farlo loro e metterci le loro figure affinché si amalgamino con esso (nel quartiere nero, nell'orfanotrofio) o si scontrino (nel ristorante). Magistrale l'inizio, dove una serie di inquadrature evitano il primo piano di Jake/Belushi con intelligente suspense, per mostrarci poi le sue dita che portano marchiato a fuoco il nome, e la lunghezza spropositata del cammino ci dice la sua pericolosità per l'ordine costituito. La fotografia predilige il grigio nel mostrare la città, il suo essere un mondo monocromo, conformista, uguale, in mezzo al quale le due macchie nere dei BB sono il particolare che rovina tutto il quadro, scatenando la risposta. Solo nell'orfanotrofio, nella chiesa o nel quartiere nero le loro giacche nere si confondono con l'ambiente, perché lì sono di casa, lì sono nel loro habitat, e un rosso-blu sfavillante illumina il Palace Hotel quando la loro musica irrompe rompendo le convenzioni, nell'unico posto che li può contenere: il palcoscenico.
LA MUSICA Forse mai, in un musical, si è avuta musica più bella: James Brown, Aretha Franklin, Cab Calloway, Ray Charles, John Lee Hooker sono meravigliosi nelle loro performances incredibili (e quelle della Franklin e di Charles non si scordano facilmente). Ma perché la musica blues? Semplice, perché è la musica nera, quella degli schiavi delle piantagioni: gli sfruttati, quindi, gli esclusi. E come dicevamo prima, loro appartengono a questo mondo, ne sono i rappresentanti silenziosi ma terribili, che quando esplodono travolgono tutte le regole. E non è privo di significato il loro collegamento al cattolicesimo, la religione degli schiavi neri, dato che nel Vangelo è contenuta l'esortazione ad amare il prossimo, concetto che il mondo sembra aver dimenticato e che informa invece le loro azioni (fanno tutto per l'orfanotrofio): un'autentica rivolta, in ricordo del più grande ribelle della storia, contro un mondo grigio e oppressivo.
RECENSIONE Capolavoro assoluto, uno dei più grandi film di tutti i tempi. Le dimensioni di un kolossal e il ritmo e la genialità d'una comica d'alto livello uniti a una musica senza eguali: c'è altro da dire? E poi, un film in cui nessuno credeva all'inizio (specie dopo il fiasco di "1941" di Spielberg, a cui partecipavano Belushi e Aykroyd) è divenuto un mito mondiale, e ha imposto una serie di ricordi e omaggi (impossibile che non se ne sia visto qualcuno). Quanto al seguito ("Blues Brothers- Il mito continua", 1998), è sicuramente divertente, ma manca John Belushi: e ho detto tutto.
N.B. Preparatevi, fan di Dylan Dog, perché il prossimo numero di Cineclassic vi riguarderà da vicino...
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