NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
Le avventure cinematografiche di Francis DelaneIL GRANDE SONNO (The Big Sleep, USA 1946)Regia: Howard Hawks
Sceneggiatura: William Faulkner, Leigh Brackett, Jules Furthman dal romanzo di Raymond Chandler
Musiche: Max Steiner
Dir. fotografia: Sid Hickox
Montaggio: Christian Nyby
Scenografia: Carl Jules Weyl
Interpreti: Humphrey Bogart, Lauren Bacall, John Ridgely, Martha Vickers, Dorothy Malone, Regis Toomey, Charles Waldron, Charles D. Brown, Bob Steele, Peggy Knudsen, Elisha Cook jr., Louis Jean Heydt, Sonia Darrin, Dorothy Malone
Non c'è niente da fare, il Paese delle Meraviglie ne ha sempre una in serbo. Puoi girarlo in lungo e in largo per anni, ma dietro l'angolo ci sarà sempre qualcosa - qualcuno - che ti lascerà senza fiato. A volte è una sorpresa inaspettata, qualcosa che non sapevi nemmeno che esistesse. Altre volte, invece, è la conferma di un mito, che fino all'altro ieri era per te solo un nome.
Nella terra del noir, i miei soggiorni da viaggiatore del Paese delle Meraviglie sono sempre stati non solo brevi, ma anche fermi ai bordi. Ho indagato con Jack Gittes/Jack Nicholson nella sua pericolosa Chinatown, ho assistito alle "allegre" sparatorie dei killer di Tarantino, ma all'interno della vera e propria terra del noir non mi ero mai avventurato. E forse non ci sarei mai entrato, se i benevoli maghi della Cineteca di Bologna (mai abbastanza benemerita) non ci avessero organizzato un tour in memoria dell'ultima arrivata in pianta stabile nel Paese: Lauren Bacall, che alla più che matura età di 89 anni ha deciso di venire definitivamente a vivere in questo paese. E ovviamente, ad accoglierla non poteva essere che Humphrey Bogart: l'inimitabile, il superbo Bogey. Attirato da questa iniziativa, anche un vagabondo come me ha deciso di intrufolarsi alla festa. Indossato quindi un trench e stando bene attento che il b/n fosse completo, mi sono avventurato anch'io per le stradine strette e le atmosfere pericolose del noir, per la prima volta in vita mia.
Però devo essere sincero: con tutto il rispetto per la Bacall, fin dall'inizio la mia attenzione è andata su Bogart. Avevo sentito parlare di lui, di questa sorta di mostro mitologico del Paese delle Meraviglie, da quel nevrotico di Woody Allen, che aveva cercato in tutti i modi, maldestramente, di imitarlo, e da Jimmy/007, che più di una volta mi aveva detto di aver imparato da lui parecchi trucchi in fatto di eleganza, seduzione e nonchalance. Sapevo, insomma, di stare incontrando un mito, ma proprio per questo, in fondo, andavo là un tantino prevenuto, pronto a dire che "sì, capisco il mito, ma oggi è invecchiato". Mi sono bastati dieci minuti in compagnia di quell'uomo per capire che avevo torto marcio: Bogey non è invecchiato per niente. La voce nasale mai troppo alta (ho avuto la fortuna di sentire la sua, di voce), gli occhi semichiusi in modo indolente, i movimenti lenti da gatto, le mani grande e morbide, il vestito sempre a posto, le battute sparate a raffica con un tempismo micidiale, Humphrey Bogart è l'Eroe Cinematografico per eccellenza, il duro che tutti vorremo avere come guardia del corpo, dal buon cuore, la battuta pronta e la pistola per lo più in tasca. Con un tale esemplare di fronte, non meraviglia che la Bacall io l'abbia notata quasi di striscio, quasi Bogart l'avesse inglobata nel suo carisma.
Ma anche l'altro pregiudizio con cui andavo là, quello del "L'attore è ancora magnifico, ma il film è invecchiato", è stato smentito in maniera clamorosa. Con Howard Haws, io avevo avuto in precedenza solo un'esperienza, quando mia sorella aveva invitato anche me a viaggiare in compagnia di Marilyn e Jane Russell sui palcoscenici scintillanti di
Gli uomini preferiscono le bionde (altro grandissimo film, ma per altri motivi). Era avvenuto parecchi anni fa, così che mi ero dimenticato che quest'uomo è stato forse il più grande regista della Hollywood anni '40-'50, quando la capitale del cinema era stretta nelle maglie inquisitorie del Codice Hays, e lui era un maestro nel rispettarne le regole e infrangerne in realtà lo spirito. Questo film me l'ha ricordato: le due ore di dialoghi serrati, sparatorie occasionali, belle donne dall'erotismo incredibile anche se completamente vestite, e romanticismo allo stato puro sono volate, non mi sono annoiato neanche un attimo e ho perfino capito la trama. Quando poi alla fine del viaggio/film c'è stato il lieto fine, l'
happy ending fra Bogart/Marlowe e la Bacall, io lì sono rimasto di sasso, perché tutto mi sarei aspettato in un noir, tranne il lieto fine, contando la suspense che la regia, la musica, la fotografia, la sceneggiatura avevano mantenuto fino all'ultimo, convincendoci che no, non era possibile Marlowe se la cavasse... e invece se la cava! Se la cava!
Sono uscito dalla sala scambiandomi con Bogart la promessa di tornare a trovarlo, nella terra b/n del noir. "Vieni a Casablanca" ha detto lui. "Ho un locale lì, dovrebbe piacerti". E se ne è andato strizzando l'occhio marpione, al braccio della sua
dark lady, dileguandosi nella notte. A presto, Bogey.
VOTO: 10/10. Il noir classico allo stato puro, un film assolutamente perfetto.
P.S. Spero vi piaccia il mio nuovo stile di recensione.