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Per amor vostro
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Per amor vostro

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view post Posted on 7/10/2015, 11:01
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Cinefilo Ad Honorem

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Passato quasi inosservato a Venezia (dove la Golino ha vinto per l'interpretazione :rolleyes: ), è anche uscito in sala e io proverò a recuperarlo solo quando uscirà in dvd.

Caprara:

Chi tocca Napoli con molta presunzione muore. Giuseppe Gaudino ce ne mette ancora di più e vive. “Per amor vostro”, vogliamo dire, è un film che non si nasconde dietro i soliti bastioni di retorica locale, ma s’identifica con totale dedizione nello sguardo e nel pensiero di un regista realistico eppure visionario, censore eppure adepto della propria terra, irregolare eppure superaggiornato e soprattutto per nulla condizionato dai concetti di “alto” e “basso” cinematografico. Contano, insomma, allo stesso modo i sogni e i fatti, i lirismi e le violenze, le sottili percezioni e gli urti devastanti, i silenzi, i rumori e le musiche che raccolgono, mischiano, impastano e trasformano tutti gli umori e le ambiguità dell’habitat in un groviglio stilistico convulso e talvolta indecifrabile, volutamente eccessivo, ma sempre coinvolgente e mai algido o saccente. La protagonista Anna, inscindibilmente legata alla “prova da sforzo” a cui è sottoposta la Golino, potrebbe persino essere stata estratta senza anestesie intellettuali da un hit di D’Alessio: già bambina costretta al sacrificio, subisce le angherie di tutti per tutelare i tre figli e si lascia sopravvivere considerandosi com’è considerata “na cosa ‘e niente”. Ma l’impiego strenuamente conquistato non a caso è quello di “gobbista” sul set di una soap tv; così la fragile, minuta e sensuale protagonista ricopia e legge per gli altri le battute che vorrebbe pronunciare nella vita vera. Il bianco e nero sporco della napoletaneria più repulsiva è pronto, però, ad avvolgerla in una fantasmagoria colorata –tra il kitsch delle immaginette sacre dei fondaci e gli ibridi surrealisti di Frida Kahlo- quando s’illude d’accedere a un purgatorio che mitighi l’inferno del passato.
Una via d’uscita dal magma d’ignavia del quartiere, del golfo, dell’intera città che grava come il resto del film sulle spalle di un’eroina che sarebbe davvero banale definire Madre coraggio o Santa. L’incarnazione della Golino merita il premio della Mostra di Venezia perché si ribella alla sua condanna non per militanza di partito o di parrocchia e neppure per una buona coscienza infusa dall’esterno, bensì contro la criminosa malvagità del marito e grazie ai soldi di un borghesissimo stipendio stipendio: la sua irriducibilità, inoltre, è corazzata dall’amore, il più laico e “qualunquista” dei sentimenti. Non si tratta né di ritorno alle origini (l’attrice ha vissuto poco a Napoli e non ci è sembrata parimenti a suo agio in un altro paio di titoli girati negli stessi ambienti), né di “roba nostra” (come madre siciliana di “Respiro” è stata altrettanto perfetta), bensì di tecnica, di professionismo, di applicazione un po’ all’americana, tanto è vero che per prepararsi si è voluta affidare a una coach che le reinsegnasse il dialetto. E’ la sua generosità a determinare il valore del film, sia perché vi ha costruito il personaggio, come lei stessa ha descritto, “arrancando attraverso mille sfaccettature” e secondo noi paradossalmente resistendo alle sollecitazioni di barocca ridondanza di un regista dominante come Gaudino; sia perché contribuisce al di là dell’interesse personale alla valorizzazione dei coprotagonisti, dallo strepitoso Massimiliano Gallo a un viscido Adriano Giannini, dagli esperti e partecipi Cantalupo e De Cicco alla sfrontata freschezza dell’esordiente Elisabetta Mirra. Insieme all’indomita Valeria o meglio in simbiosi con essa torreggia l’inevitabile protagonismo dell’odiosamata metropoli per eccellenza, la Napoli unica in tanti aspetti compresi quelli della canonizzazione e l’overdose laudatorie; in questa non secondaria angolatura sembra pertanto un valore aggiunto proteggere l’attrice giustamente celebrata da quel particolare tipo di colla specialità di casa nostra. Il flagello grazie al quale troppi film finiscono col sembrare uguali, essendo invece condannati a soffocare sotto la valanga consolatoria che oggi ci si compiace di definire “identitaria”.
 
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