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El Chapo, di Roberto Saviano

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view post Posted on 1/5/2011, 11:27
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Caccia a "El Chapo"
invisibile boss dei narcos

Il suo vero nome è Joaquin Guzmán Loera, ma per tutti è "il tarchiato". Ha preso in mano il mercato della coca, trasformato il Messico in un suo feudo ed è diventato un eroe popolare. Ecco come un giornalista si è messo sulle sue tracce. E perché una storia che si svolge nella lontana Sierra di Sinaloa riguarda anche l'Italia
di ROBERTO SAVIANO

Caccia a "El Chapo" invisibile boss dei narcos
Nulla si può comprendere del nostro tempo, del capitalismo moderno e di quello che sarà, se non si fissa in volto il Messico, attualmente la più importante narcodemocrazia del mondo. Raccontare del Messico spesso è impossibile. Proibito. Uccisi, torturati, decapitati per aver fatto il loro lavoro: così finiscono molti giornalisti che lì decidono di occuparsi di narcotraffico. Fare il giornalista in Messico è un mestiere pericoloso, forse il più pericoloso che si possa scegliere di fare in quella terra. Lo sa bene il giornalista statunitense Malcolm Beith che, al tempo delle ricerche nel Sinaloa, una notte vede arrivare al suo motel un gruppo di giovani armati, li sente entrare nella camera di fianco e decide di dormire in bagno, cosa che, forse ingenuamente, lo fa sentire più sicuro. Se sparano verso il letto direttamente da fuori la porta, avrà pensato, almeno mi salvo dormendo in vasca. Beith va in Messico con un unico obiettivo: raccontare del Numero Uno. Dell'uomo che ha cambiato il destino di quel Paese, responsabile di una quantità enorme di omicidi: El Chapo. Il narco che è riuscito a rendere il Messico il centro da cui si irradia il mercato mondiale della coca.
Figlio di un gomero, un coltivatore di papavero da oppio, il piccolo Chapo - soprannome che significa "basso e tarchiato" - cresce in un remoto angolo di Messico dove la droga sembra l'unica via per uscire dalla povertà. Non ha ancora vent'anni quando le crescenti richieste di stupefacenti dell'America post-Vietnam
fanno diventare il Sinaloa un centro nevralgico del mercato che dalla Colombia raggiunge gli Stati Uniti passando per il Messico. I colombiani, all'inizio, pagano i messicani per il trasporto della merce. Poi questi ultimi chiedono come pagamento una parte del carico. Così i cartelli messicani diventano più potenti dei colombiani che restano meri produttori. In quegli anni, El Chapo impara il mestiere dal migliore di tutti: Miguel Angel Félix Gallardo, conosciuto come El Padrino.

L'efficienza, l'affidabilità, la voglia di riscatto fanno di El Chapo un allievo perfetto, tanto che sarà proprio lui a sostituire il Padrino quando verrà arrestato. Perché da lui ha imparato molto, inflessibilità ed efferatezza, ma soprattutto come si sopravvive nel narcotraffico: mai ostentare, mai dare nell'occhio. Solo così si può diventare davvero grandi. E El Chapo lo diventa grazie alla creazione di una rete di corruzione senza precedenti: ha appoggi in politica, nella polizia e nell'esercito. Uno stuolo di sicari al suo servizio e un ristretto gruppo di uomini di fiducia. Il suo impero della droga diventa il più grande del Messico e lui uno degli uomini più ricchi del mondo, tanto che la rivista Forbes lo ha inserito nella famosa Billionaires'List e tra le persone più potenti del mondo. Dopo Barack Obama, Rupert Murdoch e Bill Gates, El Chapo si aggiudica il quarantunesimo posto.

"Davvero vuoi incontrare El Chapo? Tutti vogliono incontrarlo. Non ci riuscirai tu, e non ci riusciranno loro". È così che inizia il viaggio di Beith nelle montagne della Sierra Madre Occidentale: con le parole di Carlos, il narco che gli fa da guida sulle tracce del boss più ricercato al mondo. Joaquin Archivaldo Guzmán Loera, meglio conosciuto come El Chapo, il capo del cartello messicano più potente, il Cartello di Sinaloa, il trafficante di droga che le autorità messicane e quelle statunitensi vogliono vivo o morto, e sulla cui testa pende una taglia da cinque milioni di dollari. El Chapo ha affermato il suo potere anche perché è stato un capo creativo. Il Cartello di Sinaloa, per trasferire la coca colombiana negli Stati Uniti, ha utilizzato qualunque mezzo sino ad allora conosciuto e ne ha perfezionati altri. Da classici aerei o semplici camion dotati di doppifondi, a tunnel scavati a venti metri di profondità sotto il confine tra Messico e Stati Uniti che permettevano di eludere qualsiasi tipo di controllo, fino alle lattine di peperoni jalapeño imbottiti di polvere bianca e spediti ad aziende complici negli Stati Uniti.

Arrestato nel 1993 in Guatemala, forse grazie a una soffiata, El Chapo viene rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Puente Grande e subito stabilisce la sua legge anche lì dentro. Le prigioni messicane non sono mai state famose per il loro grado di sicurezza, ma Puente Grande negli anni Novanta era diventata una farsa. Sapendo che con i soldi si possono comprare le persone, e dove non arrivano i soldi arrivano certamente le minacce, El Chapo non solo riesce a continuare a gestire la sua organizzazione dalla prigione, ma trasforma la sua detenzione in un soggiorno di lusso: feste, spettacoli, cinema e prostitute allietano la sua permanenza nel penitenziario. E mentre fa credere agli psicologi del carcere di essere cambiato, di aver imparato dai propri errori e di voler dare una svolta alla propria vita, organizza la fuga. Mette in scena un'evasione degna di Hollywood, nascosto dentro un carrello di panni sporchi da lavanderia, spinto da una guardia corrotta, attraverso i corridoi del carcere fino all'uscita, senza dare nell'occhio. Da quel giorno Puente Grande fu ironicamente ribattezzata "Puerta Grande" e El Chapo, che era stato condannato a vent'anni e nove mesi, non ne ha scontati nemmeno otto.

La sua fuga fu un affronto a tutti gli sforzi che il Messico e gli Usa avevano fatto fino ad allora contro il narcotraffico. Da quel 19 gennaio 2001, Chapo è introvabile. Durante la latitanza addirittura si risposa per la quarta volta sulle montagne di Durango con la nipote diciottenne di uno dei suoi soci, vincitrice di un concorso locale di bellezza. Non rinuncia nemmeno alla festa di nozze, ma quando i soldati arrivano sul posto in seguito a una soffiata, El Chapo e la sua giovane moglie sono in viaggio per la luna di miele. Se già prima della sua cattura El Chapo suscitava rispetto e ammirazione tanto da essersi guadagnato il soprannome di El Señor, dopo la sua spettacolare fuga si trasforma in un eroe popolare e mediatico che è riuscito a fregare un governo profondamente disprezzato. Di fronte a uno Stato colpevolmente assente, che non riesce a soddisfare i bisogni primari quali le cure mediche e l'istruzione, i narcos che aiutano a costruire scuole e ospedali finiscono per essere considerati da molti quasi dei santi protettori.

Ecco perché i giovani vogliono essere come El Chapo. Vogliono avere soldi, potere, donne e armi. Ma in media sopravvivono tre anni e mezzo nel mondo del narcotraffico, dopodiché finiscono in carcere o uccisi. Eppure preferiscono vivere seguendo un detto tipico della zona: "Meglio cinque anni da re che una vita da bue". Ciò che accade in Messico è difficile da raccontare. Ecco perché vale davvero la pena di leggere L'ultimo narco di Malcom Beith (Il Saggiatore, 373 pagine, 17 euro), l'incredibile biografia di El Chapo risultato di tre anni di inchiesta sulla guerra della droga in Messico che solo negli ultimi quattro anni ha causato più di trentamila morti, ma che in Italia continua a essere sottovalutata come una vicenda che occupa i margini di un paese centroamericano. I cartelli messicani e italiani (ma anche russi) oggi sono uniti in affari che conquistano gli Usa e l'Europa: soprattutto Spagna, Francia e Gran Bretagna. Due anni fa incontrai il ministro degli Interni spagnolo Gonzalo Rubalcaba e discutendo dei flussi di cocaina verso il suo Paese, gli uscì la frase: "Dobbiamo impedire che la Spagna sia colonizzata dai cartelli messicani".
Beith ricostruisce la storia di El Chapo inserendola però all'interno del panorama criminale messicano, attraverso interviste ad agenti della Dea, poliziotti, politici messicani e narcotrafficanti. Un mondo difficile da decifrare - soprattutto per uno straniero - e difficile da raccontare soprattutto per i giornalisti messicani. Come viene ricordato nel libro, dal 2000 a oggi, quarantacinque giornalisti sono morti in Messico per essersi spinti troppo oltre nelle loro indagini sul crimine organizzato e le sue coperture.

Ora che El Chapo è un latitante, la Sierra di Sinaloa è diventata una zona militarizzata: i soldati sono sempre presenti. Ma ciò non ha impedito ai narcos di continuare i loro traffici, né ha ridotto la violenza. Anzi. La tensione nella regione è ai massimi livelli e spesso i soldati finiscono per aprire il fuoco su persone innocenti, scambiandoli per criminali. C'è chi dice - e chi viene dalla mia terra questa cosa l'ha spesso sentita ripetere riferita alle vecchie grandi famiglie della camorra napoletana - che quando c'era solo El Chapo a governare le cose andavano meglio: i ragazzi avevano rispetto per il boss, lui li faceva rigare dritto. Ora i conflitti armati sono quotidiani e i giovani narcos non rispettano nemmeno più la legge di El Chapo. Dopo la morte e l'arresto degli altri grandi boss messicani, El Chapo rimane l'ultimo esemplare della vecchia generazione di narcos, quella che seguiva una sorta di "codice del crimine organizzato" che oggi non esiste più. Le mafie sconfitte generano sempre l'alone mitico di essere state migliori di quelle che si affermano. Perché il meccanismo mafioso innesca le stesse dinamiche in ogni luogo. I gruppi per espandersi o per mantenere il potere devono giocare al rialzo. E facilmente il rialzo è un incremento esponenziale di violenza ferocia e spietatezza. Perciò quel che viene dopo è sempre peggio di quel che c'era prima.

Nonostante negli anni abbia perso molte persone care (tra cui il figlio e il fratello), El Chapo non crolla. Protetto dalla sua gente, protetto forse anche da alcuni tra quelli che dovrebbero catturarlo, continua a scappare da un posto all'altro, lasciando dietro di sé i fallimenti delle autorità messicane. Si dice che viva tra le colline di Durango e molte sono le storie - vere, talvolta solo verosimili - che girano sul suo conto. Un giorno viene immortalato da telecamere di sorveglianza mentre guida un Suv in un paesino tra le montagne. L'indomani viene avvistato in un ristorante, comodamente seduto a mangiare sotto gli occhi spaventati e ammirati dei messicani che lo riconoscono.

Nella primavera del 2009 l'Arcivescovo Hector Martinez Gonzalez espresse il suo sdegno per il fatto che Chapo fosse ancora in libertà. Tuonò: "Vive sulle colline di Durango. Tutti lo sanno, tranne le autorità". In realtà anche le autorità lo sapevano e infatti avevano intensificato le ricerche in quella zona. Ma pochi giorni dopo la critica dell'arcivescovo, due ufficiali dell'intelligence militare che lavoravano sotto copertura nella Sierra come campesinos di piantagioni di marijuana, furono trovati senza vita su una strada di campagna di Durango. Di fianco ai corpi un messaggio: "Non prenderete mai El Chapo".
Così, per ora, finisce questa storia. E anche la profezia che Carlos, il narco che aveva guidato Malcom Beith nel suo viaggio alla ricerca dell'ultimo narco, sino ad oggi si è avverata.
(© 2011 Roberto Saviano)
 
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view post Posted on 25/2/2014, 20:21
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Cinefilo Ad Honorem

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Non mi cagò nessuno, ma il tizio è stato arrestato.

E mi è tornato in mente anche un vecchio film di Cesare...

https://cinematik.forumfree.it/?t=42475810
 
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Andrew.
view post Posted on 25/2/2014, 20:53




Io almeno lo ammetto: quando posti questi articoli chilometrici, li leggo solo di sfuggita, troppo lunghi per i ritmi frenetici di oggi :P E forse come me, altri pigri fanno lo stesso.
Questo per dire che a volte sarebbe meglio anche un riassuntino veloce e poi magari linkare l'articolo per chi volesse approfondire.

Riguardo El Chapo, sentivo alla radio l'altro giorno e mi dicevo che è uno di quei casi in cui la realtà si mescola col cinema, personaggio proprio da film, magari anche un po' stereotipato (diremmo agli sceneggiatori).
 
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emilgollum
view post Posted on 25/2/2014, 23:29




la realtà è sempre più stereotipata... :)
 
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view post Posted on 26/2/2014, 08:54
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CITAZIONE (Andrew. @ 25/2/2014, 20:53) 
Io almeno lo ammetto: quando posti questi articoli chilometrici, li leggo solo di sfuggita, troppo lunghi per i ritmi frenetici di oggi :P

Beh, magari uno ci torna su poi con calma, se è interessato all'argomento o alla firma... lungo questo articolo è dire troppo dai!
 
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view post Posted on 15/7/2015, 18:55
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