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Rip Sergio Sollima

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view post Posted on 2/7/2015, 09:17
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Cinefilo Ad Honorem

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Sarebbe un peccato ricordarlo solo grazie a Stefano, ma in realtà l’onora anche passare alla storia come padre del regista di “Gomorra. La serie”. Così come non sarebbe dispiaciuta a Sergio Sollima, scomparso ieri novantaquattrenne, la qualifica di demiurgo di “Sandokan” e dei seguiti “Il Corsaro Nero” e “La tigre è ancora viva” (’76-’77), primi kolossal di successo internazionale di una Rai su quel versante allora assai malferma. Però la vicenda umana e professionale del regista e sceneggiatore romano è molto più interessante e sfaccettata, nonché del tutto degna d’essere posizionata in prima fila del ricostituito (a furore di moderni cinefili e studiosi prim’ancora che di Tarantino) quadro storico del cinema italiano. Nel primo dopoguerra, infatti, è stato critico e saggista, collaboratore della storica rivista “Cinema” e coraggioso promotore ante-litteram della qualità hollywoodiana. Si fa notare come autore teatrale nel ’47 (“L’uomo e il fucile”), proseguendo per un certo tempo la carriera di commediografo culminata nei discreti esiti di “Gli uccisori” e “Apocalisse a Capri”, mentre al cinema sembra specializzarsi nelle sceneggiature a fianco degli impegnati Mida, Puccini e Solinas. Però il primo film da regista è l’episodio “Le donne” di “L’amore difficile” (’63), interpretato da Salerno, Mori e Spaak e tratto dai racconti molto più disinvolti e stuzzicanti di Italo Calvino, a cui seguiranno titoli di genere rigorosamente rivolti al pubblico popolare. Dopo incursioni non banali nello spionistico e il poliziesco (“Requiem per un agente segreto” con Granger, ’66), Sollima diventa autorevole esponente del genere pigramente definito “spaghetti”, particolarmente versato quasi sempre anche come sceneggiatore nell’insinuare motivi antagonisti e terzomondisti nella cornice brutale e disinibita della reinventata epica western. Non è un caso che nella trilogia “La resa dei conti”, “Faccia a faccia” e “Corri, uomo corri”, firmata tra i fatidici ’67 e ’68, s’affermino in totale scioltezza i ghignanti contrappunti all’aria del tempo veicolati dalle magistrali interpretazioni dei Van Cleef, Milian e Volontè. Prima della celebrità guadagnata grazie alle acrobatiche performance blando-salgariane del bel tenebroso Kabir Bedi, Sollima non si era fatto mancare esperienze fuori standard come “Città violenta” (’70) con Bronson e Savalas, “Il diavolo nel cervello” (’72) con Sandrelli e Dullea e l’ottimo poliziottesco “Revolver” (’73) con Reed, Testi e Pitagora. (Caprara)
 
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