| LAST DAYS
pupille senza più sguardo
Regia di Gus Van Sant
Con Michael Pitt, Lukas Haas, Asia Argento
Drammatico
Il secondo film dedicato a Kurt Cobain (il primo fu “A/R Andata + Ritorno” del nostro Marco Ponti) si guarda bene dal rendere riconoscibile il leader dei Nirvana. Un ragazzo selvaggio attraversa il bosco, fa il bagno, dorme tra l’erba, sogna ed è trasognato. Raggiunge la trasandata villa dove gli amici bivaccano, riceve l’uomo delle Pagine Gialle e farfuglia di aver avuto un discreto successo, sbircia da lontano un paio di ragazzi che bussano con la parola di Cristo nella tasca della giacca. Fa cose minime e barcolla strafatto. Esce, beve, sfugge. Sono le ultime ore di una rockstar in incognito che bisbiglia la propria insostenibile confusione interiore. Gus Van Sant porta alle estreme conseguenze stilistiche il pedinamento del precedente “Elephant”, in cui intrecciava i destini di studenti vittime e assassini. Film quasi muto, gorgogliante eterea perdizione. La macchina da presa accompagna, indugia, si avvicina a micropassi, non ha sguardo ma solo pupille. Van Sant si prende l’efebo Michael Pitt di “The Dreamers”, lo battezza Blake e lo smarrisce nella barba e nell’ebollizione cerebrale. Evita la peggior trappola: fare di Asia Argento una Courtney Love. Mette in colonna sonora musica dolente creata dagli interpreti. Realizza un capolavoro per cinefili, per iniziati, per anime perdute in qualcosa di lucidamente sudicio. Il rischio di rimanere estranei è altissimo.
Gus Van Sant, regista ieri trasgressivo nell’occhio e nella morale ("Belli e dannati") ed oggi votato ad un impeccabile rigore visivo (ha rigirato, inquadratura per inquadratura, "Psyco" a colori), dedica "Last Days" alle ultime ore di Kurt Cobain, il leader dei Nirvana morto tragicamente nel 1994. Un film ricco di echi e povero di parole che si guarda bene dal rendere riconoscibile la rockstar ai non informati.
Un ragazzo selvaggio attraversa un bosco (è l’efebo Michael Pitt di "The Dreamers", sprofondato nella barba lunga e nell’ebollizione cerebrale), fa il bagno, dorme tra l’erba, sogna ed è trasognato. Raggiunge la villa di campagna – elegante ma trasandata – dove gli amici bivaccano; riceve l’uomo delle Pagine Gialle e farfuglia di aver avuto un discreto successo; forse neppure vede un paio di ragazzi che bussano alla sua porta con la parola di Cristo nella tasca del vestito della domenica. Fa cose minime e barcolla in preda ad incalcolabili miscele di droga. Vagabonda con un fucile giocattolo, indossa una sottoveste, crolla sul pavimento quando un’incauta apre la porta sbagliata (è Asia Argento che molti – ma non la trama – suppongono perfetta Courtney Love, l’arrabbiata compagna di Cobain).
Van Sant porta alle estreme conseguenze stilistiche il pedinamento del suo precedente "Elephant", in cui intrecciava, puntigliosamente silenzioso, i gesti delle vittime e degli assassini tra gli studenti di un liceo. La macchina da presa accompagna, indugia, si avvicina a micropassi. Non ha più sguardo, ma solo pupille sgranate su un dramma sublimato ed etereo solo all’apparenza.
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