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Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate
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Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate, di Peter Jackson

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view post Posted on 4/12/2014, 09:20
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Cinefilo Ad Honorem

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da trovacinema:

di Arianna Finos

LONDRA - La camicia bianca di garza da estate neozelandese, nella pioggia fredda di Londra, è una dichiarazione d’intenti: «La mia responsabilità è finita, finalmente potrò andarmene in spiaggia». Peter Jackson sente di aver compiuto l’impresa. Consegna al mondo (in sala il 17 dicembre) l’ultimo capitolo della sua monumentale rilettura cinematografica di Tolkien. Un finale epico, un Braveheart nell’era del digitale espanso, che mantiene le promesse del titolo. "The Hobbit - La battaglia delle cinque armate" è un lungo formidabile scontro a fronte multiplo, gli eserciti schierati sul campo a evocare i quadri sulla guerra napoleonica. Un balenar d’elmi e di cozzanti brandi in cui si affrontano nani, elfi, umani, orchi, mannari, pipistrelli, giganti, aquile. Sangue e addii struggenti, tradimenti e riscatti.
«È il più potente ed emozionante dei tre film», dice un po’ commosso l’autore «e rende omaggio a tutti i personaggi. Che nella battaglia, momento culmine dell’intera storia, restano sempre al centro». Peter Jackson, 53 anni, è sereno. «Vent’anni fa, quando per la prima volta spiegai al produttore Harvey Weinstein che volevo lavorare a Lo Hobbit e al Il signore degli anelli , non immaginavo quale viaggio sarebbe stato. Quante difficoltà, la pressione di un progetto enorme fatto in un modo mai osato. Finito "Il ritorno del re" pensavo di aver detto addio alla Terra di mezzo, e invece c’è stato Lo Hobbit. Se lo avessimo girato per primo sarebbe stato una favola, invece sono orgoglioso che i sei film siano tutti perfettamente omogenei».
Più che la fine, per Jackson questo è solo l’inizio della saga: «L’altra notte, dopo l’anteprima, pensavo che in sala avevo visto bimbi non ancora nati ai tempi della prima trilogia. Altri in futuro affronteranno i sei film in ordine cronologico. E scopriranno le profonde correlazioni. Frasi e gesti dei personaggi assumeranno un nuovo significato». «Da regista — spiega — ho sempre cercato di essere fedele a me stesso. Ma l’approvazione dei fan di Tolkien mi rende felice. Io faccio il film per un pubblico più ampio possibile».
Ma è davvero la fine? C’è da chiederselo nell’era di Star Wars episodio V-II . «Abbiamo usato al meglio tutto il materiale che avevamo. Ma a questo punto il limite è legale, Tolkien aveva venduto solo questi diritti, gli altri appartengono alla sua Fondazione, che non vuole cederli». Ufficialmente perché si ritiene che quell’universo debba restare letteratura. «Ma l’avventura cinematografica del Signore degli anelli è entrata nella cultura mondiale». E ha fatto anche un pezzo di storia degli effetti speciali. «Mi piace sperimentare, il pubblico apprezza. La tecnologia è sempre stata guidata dai bisogni della storia da raccontare. Cent’anni fa si facevano film silenziosi, in bianco e nero e in 16 frame. Oggi viaggiamo sui 48 fotogrammi al secondo. Il pubblico ha un’offerta massiccia su tablet e telefonini. Per l’industria del cinema è importante che la gente vada nelle sale. L’esperienza dev’essere più eccitante e unica possibile, la tecnologia è un’arma potente al servizio della narrazione».
Su quanto la Terra di mezzo e le vicende delle sue creature raccontino il presente, mettendo in scena l’avidità, le miserie, l’egoismo dei politici, Jackson riflette. «Tolkien ha scritto Lo Hobbit prima del secondo conflitto mondiale. Ma ha conquistato gli americani anche ai tempi della guerra in Vietnam. Ha parlato a tanti giovani in luoghi ed epoche diverse. È senza tempo, ci ritrovi l’essenza dell’essere umano». Jackson spera che la saga di Bilbo Baggins sia d’ispirazione per i bambini: «Mi piacerebbe trasmettere l’amore per il cinema. Sono cresciuto guardando in tv i Thunderbirds, ero affascinato da quelle marionette. Non ho mai scordato l’emozione del King Kong del ’33. E poi Buster Keaton, Monty Phyton. Se un bambino uscendo dalla sala pensasse di voler fare il regista, mi sembrerebbe di restituire un po’ della gioia che ho ricevuto».
 
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Merlino*
view post Posted on 4/12/2014, 09:28




Si comincia il recupero degli altri? Tu Pap a che punto sei?
 
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view post Posted on 4/12/2014, 09:44
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Cinefilo Ad Honorem

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CITAZIONE (Merlino* @ 4/12/2014, 09:28) 
Si comincia il recupero degli altri? Tu Pap a che punto sei?

Ho visto lo Hobbit e appena è pronto vedrò volentieri in tre puntate Smaug. Ma per appisolarmi/rilassarmi in pausa pranzo al negozio, non certo per strapparmi le vesti (Francis sostiene che questa trilogia sia migliore di LOTR).
 
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Merlino*
view post Posted on 4/12/2014, 09:49




CITAZIONE (marenarobros @ 4/12/2014, 09:44) 
CITAZIONE (Merlino* @ 4/12/2014, 09:28) 
Si comincia il recupero degli altri? Tu Pap a che punto sei?

Ho visto lo Hobbit e appena è pronto vedrò volentieri in tre puntate Smaug. Ma per appisolarmi/rilassarmi in pausa pranzo al negozio, non certo per strapparmi le vesti (Francis sostiene che questa trilogia sia migliore di LOTR).

Francis è una delle poche persone più sbilanciate e dilatate di me nei giudizi, quindi anche se la vedo difficile potrebbe anche essere possibile e sai perché? Perché in questo caso mi vedrò un film senza pensare troppo ai riferimenti al libro e godendomelo solo come un'esperienza puramente cinematografica facente riferimento al LOTR cinematografico, che cmq sai bene che io ho amato e amo ancora molto. Quindi un'altra cosa, e chissà che non sia meglio
 
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emilgollum
view post Posted on 4/12/2014, 13:02




No, per me The Hobbit non può competere con ISdA, sia per autenticità, sia per la potenza della storia, pur apprezzando questa nuova trilogia. E non c'è bisogno di strapparsi nessuna veste, sempre di cinema d'intrattenimento stiamo parlando. Io lo reputo "alto" intrattenimento (pur con certi scivoloni evitabili).
 
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Pinox78
view post Posted on 4/12/2014, 13:24




CITAZIONE (emilgollum @ 4/12/2014, 13:02) 
No, per me The Hobbit non può competere con ISdA, sia per autenticità, sia per la potenza della storia, pur apprezzando questa nuova trilogia. E non c'è bisogno di strapparsi nessuna veste, sempre di cinema d'intrattenimento stiamo parlando. Io lo reputo "alto" intrattenimento (pur con certi scivoloni evitabili).

quoto perché per una volta tanto son perfettamente d'accordo con Emil ;)
 
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mastruccio
view post Posted on 4/12/2014, 13:31




Vedró anche questo al cinema. Meglio in 3d, no?
 
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view post Posted on 12/12/2014, 13:24
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Interessante articolo (e nessuno parla del Mondo di Mezzo citato - malamente - dai mariuoli dello scandalo romano?)

di Wu Ming 4

Sono trascorsi tredici anni dall’uscita nelle sale del primo film tratto dal Signore degli Anelli. Mentre incombono le anteprime dell’ultimo capitolo della trilogia (molto liberamente) tratta da Lo Hobbit, si può fare un bilancio di quanto nel frattempo è successo in Italia intorno a J. R. R. Tolkien. Se nel secolo scorso la scena tolkieniana era considerata un ghetto per nerd, o tutt’al più per conventicole dell’ultradestra, la penetrazione nell’immaginario pop tramite la settima arte ha avviato uno smottamento che ha travolto quell’ambiente asfittico.
E al tempo stesso ha stimolato forme di reazione creativa all’invasione hollywoodiana. Mentre la dimensione d’intrattenimento (cinema, giochi e videogiochi) faceva debordare l’interesse per la Terra di Mezzo ben oltre la sottocultura fantasy, una nuova generazione di appassionati, studiosi, artisti, ha messo in crisi i luoghi comuni di un tempo. Così da un lato lo snobismo dell’accademia è stato pesantemente scalfito, e dall’altro le letture delle vecchie vestali nostrane sono state ridimensionate (o piuttosto ridicolizzate) grazie a un’attività pubblicistica, su carta e su web, prodotta quasi sempre dal basso. Si è trattato di un lavoro certosino e spesso disconosciuto, che ha prodotto gli anticorpi alla saturazione dell’immaginario seguita all’enorme successo dei film. Per paradosso, senza i kolossal di Peter Jackson non avremmo avuto la collana tematica “Tolkien e dintorni” dell’editrice Marietti 1820, che dal 2005 a oggi ha tradotto i più importanti saggi critici nel panorama internazionale. L’ultimo uscito, W. H. Green, Lo Hobbit: un viaggio verso la maturità , è paragonabile a un gioiello elfico.
Sul piano delle arti visive forse soltanto adesso, con la conclusione della ridondante seconda trilogia, si iniziano a metabolizzare le immagini cinematografiche e ci si apre a nuovi orizzonti, meno schiacciati sul mainstream hollywoodiano. Così si tornano ad apprezzare le opere di un decano come Angelo Montanini e può emergere il lavoro di artisti originali come Ivan Cavini, Maria Distefano, Andrea Piparo. Manca all’appello la narrativa. I più noti autori italiani di fantasy avrebbero forse potuto spendere un po’ più di tempo a studiare la chiave dell’universalità delle storie di Tolkien e un po’ di meno a cercare di emularle infarcendo le proprie di Elfi, Mezzelfi e Orchi.
Per rendersi conto di quanto è successo e continua a succedere intorno alla Terra di Mezzo e a sud delle Alpi, si potrebbe scorrere il programma della seconda edizione del Tolkien Day che avrà luogo al Vigamus, il museo del videogioco di Roma, la prossima domenica. Il tratto distintivo di una manifestazione come questa è la commistione di alto e basso, gioco e studio. In una stessa giornata si potrà assistere alla proiezione de "Lo Hobbit — La Desolazione di Smaug" in versione estesa, giocare ai videogiochi a tema, e assistere alla presentazione di Santi pagani nella Terra di Mezzo di Claudio Testi (Edizioni ESD), un saggio che affronta le interpretazioni filosofiche e religiose dell’opera tolkieniana. Non deve stupire che un evento come questo sia organizzato dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani (www. jrrtolkien. it), nata dall’unione di altri soggetti impegnati da anni a rivalutare l’autore inglese, e già reduce dall’inaugurazione del festival “Fantastika”, nella rocca di Dozza Imolese, con conferenze di studiosi italiani e stranieri, ma anche esposizioni di illustratori e artisti. È grazie all’attivismo di questo tipo, portato avanti anche da realtà locali, da gruppi amatoriali e circoli, sui blog e sui social network, che la Terra di Mezzo è entrata in una nuova stagione.
Tant’è che anche l’accademia sembra essersi svegliata dal torpore. Tolkien non è più un fenomeno paraletterario, ma un autore che può diventare argomento di dibattito, di corso o di un convegno, come dimostrano gli atenei di Milano, Trento, Pisa, Siena, Palermo, Verona (solo per limitarsi all’ultimo anno). Spesso è la spinta degli studenti e dei giovani ricercatori a portare Tolkien all’università, ma è pur vero che alcuni docenti l’hanno ormai acquisito come autore, sia sul piano letterario sia su quello degli studi filologici.
All’incrocio tra questi due piani si collocano le pubblicazioni dei poemi inediti La leggenda di Sigurd e Gudrùn ( 2009) e La Caduta di Artù ( 2013), ma anche quella recentissima della sua traduzione del Beowulf (Bompiani 2014) fatta negli anni Venti e finora rimasta sepolta in archivio. Un’operazione quest’ultima che può interessare forse gli storici della filologia più che i comuni lettori, ma che al tempo stesso ha anche un risvolto letterario, dato che la prosa della traduzione tolkieniana cerca di salvare un’eco dell’antico ritmo poetico anglosassone e — come scrive Michael Drout, noto studioso di Tolkien — «combina il suo acume filologico con la sua capacità creativa».
Eppure resta ancora tanto da fare per stabilire anche in Italia uno standard accettabile per un classico del Novecento. Paradossalmente questo riguarda soprattutto i testi di Tolkien. Sull’edizione nostrana del Signore degli Anelli pendono ancora diverse ipoteche. A partire dalla traduzione, fatta oltre quarant’anni fa, che non rende la varietà di registri linguistici utilizzata dall’autore e molte delle sue scelte lessicali. Per proseguire con l’obsoleta e fuorviante introduzione di Elémire Zolla, scritta quando gli studi tolkieniani erano a uno stadio preistorico. I lettori italiani poi non hanno mai potuto leggere per intero la History of Middle Earth, cioè la raccolta degli scritti postumi sulla Terra di Mezzo, che contiene vere e proprie perle, dato che ne sono stati tradotti soltanto due volumi su tredici. Per tacere infine del livello deprimente di molti peritesti, completamente avulsi dal dibattito internazionale.
Gli studiosi tolkieniani però sono gente temprata nella lunga lotta di liberazione della Terra di Mezzo dal pregiudizio letterario e dall’appropriazione ideologica. Per questo c’è da scommettere che seguiteranno a esplorarne in lungo e in largo i territori e a battersi finché non avranno definitivamente riscattato quelle lande dall’influsso di Sauron. Consapevoli che solo chi la dura la vince.
 
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Merlino*
view post Posted on 12/12/2014, 16:11




Questo, per chi si accinge a guardarsi il terzo capitolo, è ancora più interessante.
Con la consueta intelligente, e non preconcetta, ironia di Zen da un suo articolo su Gli88folli

Capitolo 1: o di come un flashforward alla Tarantino vi spiega dove andrà a parare la recensione.
Il mio amico Leonardo è un tolkieniano di ferro. Dicesi tolkieniani di ferro quelli che leggono Il Signore degli Anelli e il Silmarillion una volta l’anno, tipo, e che sanno nomi e titoli e alberi genealogici e tutto quello che è stato creato da Tolkien. Ché io la gente così la rispetto, perché a malapena riesco a ricordarmi il nome delle persone con cui lavoro, figuriamoci del figlio di Gloin.
Comunque, una sera, ero a fare un aperitivo con il mio amico Leonardo e altra gente e uno di questa altra gente, a un certo punto, ha esordito con la frase “del resto non vedo come una persona normale possa leggere il Silmarillion più di una volta”. Ecco, non saprei spiegarvi lo sguardo di Leonardo, quando ha sentito dire quella cosa. Provate a immaginare la cosa per voi più sacra e cara che avete e poi immaginate che passi tipo il Joker e gli scriva “caccapupù” sulla fronte. Ecco.
Questo per dire che, qualche tempo dopo, Leonardo scrive su uno dei social network al quale è iscritto “Sto guardando Lo Hobbit: La desolazione di Smaug. Cosa cazzo succede?! Chi è questa gente??” più altre cose che non so se posso scrivere perché ci sono le bestemmie e non so se la nostra potente Madreh Fondatrice (all hail!), vuole.

Capitolo 2: o di come siamo arrivati a questo punto.
C’è una cosa che non si può negare, a Peter Jackson, ed è quella di essere riuscito a farsi IL nome. IL nome, miei piccoli lettori, è quello che pochi registi si sono guadagnati e, nel campo del cinema fantastico, possiamo citare Steven Spielberg e George Lucas, per dirne due mica da poco. Sir Peter Jackson è neozelandese, dirige alcuni b movie horror che diventano di culto, dirige quel piccolo gioiello che è “Heavenly creatures”, dirige altre cose e poi arriva a dirigere la trilogia de Il Signore degli Anelli. Ora, per molti questo significa gente con le orecchie a punta e un terzo capitolo con diciotto finali, mentre per appassionati del genere è tipo il sogno che diventa realtà.
Quello di cui spesso non ci si rende conto è che PJ, come lo chiamano familiarmente amici e gente che scrive pezzi su di lui e non ha voglia di mettere il nome per esteso, è riuscito nel non facile tentativo di dare vita una trilogia che piace anche a chi non è appassionato o nerd all’ultimo stadio. Se ci fate attenzione la trilogia dell’Anello, come la chiama la gente di cui sopra, è uno dei pochi esempi cinematografici che piacciono anche allo spettatore “premesso-che-non-capisco-niente-di-cinema” e spesso a quello inatteso, che poi magari non vedrà altro di fantasy, ma ammetterà che quello gli è piaciuto.
Ecco, PJ, si fa IL nome, si guadagna la libertà creativa di uno che ha incassato 11 Oscar in your face, bitch! e comincia a fare quello che molti altri grandi artisti hanno fatto, prima di lui: lo manda in vacca dirigendo film che, diciamolo, non sono propriamente un granché (ma più che brutti hanno un serio problema di cui parleremo dopo). Quindi, quando il suo amico Guillermo Del Toro abbandona in corsa la regia de Lo Hobbit che lui supervisionava, a PJ viene proposto di dirigere altri tre film e lui dice “Ma sì, perché no? Ecco il mio IBAN”.

Capitolo 3: o di come tutto questo sia un po’ un ritorno a casa (con una spruzzata di Star Wars).
Quando è uscito il terzo capitolo della seconda trilogia di Guerre Stellari (provate a leggerlo ad alta voce, non sentite come vi riempie la bocca?), una cosa su cui concordavano un po’ tutti gli appassionati era che i momenti che funzionavano meglio erano quelli che ricollegavano la vecchia e la nuova trilogia. Senza stare a discutere se questo fosse o meno un pregio (suggerimento: no, non lo era), la stessa sensazione la si ha quando si comincia a guardare Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato e PJ ti sbatte nel mezzo della Contea, poche ore prima l’inizio della festa di compleanno di Bilbo che apriva Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell’Anello, c’è Ian Holm che fa Bilbo da vecchio, c’è Elijah Wood che fa Frodo che esce di casa per andare a incontrare Gandalf e tu, che con la trilogia dell’Anello hai un rapporto viscerale, ti senti le budella attorcigliate e ti senti come ritornato a casa, quella casa che hai abbandonato anni prima e che, di tanto in tanto, guardi da lontano, sentendone la mancanza.
Il libro de Lo Hobbit, lo dico subito, non si presta a una trilogia. Il materiale è molto poco, rispetto al mostro che è Il Signore degli Anelli, e tutti sapevano che questo significava solo una cosa: allungare il brodo e moltissimo. Questo, tra le altre cose, significa anche che vanno inventate sotto trame e personaggi e che quindi, PJ, ha mano libera. E qui, diciamo, casca l’asino.

Capitolo 4: o di come vi spiego il concetto di “intervention”.
Avete presente il tizio che beve o si droga o entrambi e un giorno si trova in salotto la famiglia, gli amici e i conoscenti e tutti quanti gli dicono “sei un drogato o un alcolizzato o entrambi devi smetterla, guarda come ti sei ridotto” e tutti piangono e si abbracciano e si soffiano il naso? Ecco, io sono sempre una cosa del genere per i registi cinematografici. Tipo che Michael Bay torna a casa e trova la famiglia che gli dice “hai rotto il cazzo con Transformers e quella merda lì” e tutti a piangere e abbracciarsi e soffiarsi il naso.
Una cosa del genere andrebbe fatta con Peter Jackson che ha un grosso problema ed è l’ego. O meglio: il fatto che, dopo una trilogia di successo, con incassi strepitosi e un goziliardo di Oscar portati a casa, ha perso il senso del limite. Il senso del limite di PJ va regolarmente a farsi fottere in un determinato momento dei film di PJ ed è il tremendo “momento inseguimento”. Cos’è il momento inseguimento, miei piccoli lettori? È l’equipaggio di King Kong che scappa da una carica di brontosauri, a piedi, per interminabili minuti, riuscendo non si sa come a schivare la morte più e più volte. È i nani e Gandalf che scappano dalle caverne dei troll in Un viaggio inaspettato e la fuga dura tanto di quel tempo che, quando siete usciti dalla sala, avete trovato i vostri nipoti ormai sposati e con figli. È i nani e Bilbo che scappano lungo un fiume dentro delle botti, mentre elfi e orchi si accoppano e quando finalmente sono arrivati in fondo è già il nuovo anno.
In linea di massima è questa tendenza di PJ a tirare un film fino alle insopportabili durate di due ore e mezza, quando anche già due ore potevano mandarti a casa più che soddisfatto.

Capitolo 5: o di come vi parlo anche delle cose belle.
I due film de Lo Hobbit hanno il problema dell’ego di PJ, delle durate infinite, del fatto che, per giustificare una trilogia di un libro di 80 pagine, devi prendere il personaggio di Legolas, respingerlo dentro a forza e dargli tutta una trama sua dov’è combattuto eroicamente tra la guerra e la gnocca. Devi creare tutta una cosa con gli orchi che cercano Thorin e i suoi per vecchie faide, oltre che per i problemi noti legati a Sauron in nuce e tutto il resto. Il problema è che da un lato ci siamo noi che diciamo “basta così, grazie, sono sazio” e dall’altra c’è PJ che spinge, offrendoci una mentina che, veramente, non ci sta, ma ormai siamo in sala e vuoi mica alzarti e andartene ora che ci siamo quasi, no?
Poi ci sono quei momenti che ho ribattezzato “PJ hai rotto” che sono, oltre ai succitati inseguimenti, anche le scelte registiche che sono diventate un marchio (gente che cammina lungo passerelle o su e giù per scalinate infinite tutte senza corrimano e con l’inquadratura volante o la rivelazione di un nuovo posto con la telecamera che ruota tutto intorno e la musica a levare), ma che ormai fanno sembrare ogni posto e ogni scena uguale a tutte le altre.
Poi ci sono le cose buone, sicuramente. C’è il piacere di rivedere Ian McKellen interpretare Gandalf il grigio o un Martin Freeman eccezionale, che si carica, spesso, il film sulle spalle e lo fa recitando da dio. C’è Smaug che è un drago come uno se lo aspetta (no, un momento, noi nerd abbiamo litigato moltissimo sul discorso “è un drago” “no, è una viverna”, ma non è questo il posto), pazzo, cattivo, carico di follia omicida. C’è la Terra di Mezzo così come ce la ricordavamo ne Il Signore degli Anelli che ti riappare davanti ed è come riconoscere posti dove hai passato dei bei momenti.
Dare un giudizio sulla riuscita delle prime due pellicole non è facile (sempre escludendo i paragoni con i libri, che non interessano, in questa sede). Mi posso spingere a dire che il secondo capitolo è più riuscito, rispetto al primo che è lento, farraginoso, con momenti altamente discutibili e noiosissimi. La desolazione di Smaug riesce a infilare bei momenti commoventi e scene d’azione riuscite, più di Un viaggio inaspettato che, invece, è tedioso anche dove dovrebbe essere emozionante.
Non so cosa aspettarmi dal terzo film. O meglio lo so: né più, né meno quello che ci è stato dato dai primi due, con in più la foga da “siamo all’ultimo film, diamoci sotto, più casino, di più di più!” che ha portato Il Ritorno del Re a essere una interminabile parata di scene che si accumulavano e screen time inconcepibilmente lungo. Ma, come ho avuto modo di dire altrove, dopo la trilogia dell’Anello, cinematograficamente parlando, non abbiamo più avuto pellicole valide, nel genere, fino all’arrivo de Lo Hobbit, che nel suo essere fallato ha tutta la serie di pregi esposti qui sopra. Affronto quindi la visione delle ultime scene come un saluto al vecchio amico che se ne va e sai che non rivedrai per chissà quanto.
 
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view post Posted on 12/12/2014, 16:30
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Cinefilo Ad Honorem

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CITAZIONE (Merlino* @ 12/12/2014, 16:11) 
tolkieniano di ferro.

A questo mi sono fermato, mi spiace. Ma poi la leggo.
 
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Merlino*
view post Posted on 12/12/2014, 16:50




CITAZIONE (marenarobros @ 12/12/2014, 16:30) 
CITAZIONE (Merlino* @ 12/12/2014, 16:11) 
tolkieniano di ferro.

A questo mi sono fermato, mi spiace. Ma poi la leggo.

Sì, comprensibile :P
Io non sono Tolkeniano di ferro perché non conosco tutte le sfumature, cronologie e sottotesti, ma Tolkeniano di vecchia data sì (ossia ben prima del Tolkien cinematografico) .
 
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view post Posted on 12/12/2014, 17:34
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Letto (poi veloce nel finale, per evitare spoiler): beh, bravo Zen.

Ma insisto che bisognerebbe scindere letteratura e ossessione, cinema e Cinema.
 
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emilgollum
view post Posted on 12/12/2014, 21:16




CITAZIONE
Il materiale è molto poco, rispetto al mostro che è Il Signore degli Anelli, e tutti sapevano che questo significava solo una cosa: allungare il brodo e moltissimo. Questo, tra le altre cose, significa anche che vanno inventate sotto trame e personaggi e che quindi, PJ, ha mano libera. E qui, diciamo, casca l’asino.

ci sono cose che non piacciono neanche a me, però qui a cinematik le modifiche fatte le difenderemmo a tutti i costi.
 
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Merlino*
view post Posted on 12/12/2014, 21:28




CITAZIONE (emilgollum @ 12/12/2014, 21:16) 
CITAZIONE
Il materiale è molto poco, rispetto al mostro che è Il Signore degli Anelli, e tutti sapevano che questo significava solo una cosa: allungare il brodo e moltissimo. Questo, tra le altre cose, significa anche che vanno inventate sotto trame e personaggi e che quindi, PJ, ha mano libera. E qui, diciamo, casca l’asino.

ci sono cose che non piacciono neanche a me, però qui a cinematik le modifiche fatte le difenderemmo a tutti i costi.

Ma sì dai, sarà che ero molto maldisposto ma a parte i momenti di stanchezza e, per quanto mi riguarda ancora di più, gli inseguimenti stile video games o Indiana Jones e l'ultima crociata alla fin fine si guarda molto bene. Poi non sapendo distinguere le aggiunte di PJ da quelle invece fatte perché, seppur non presenti ne Lo Hobbit, rintracciabili nelle varie cronologie e appendici del mondo tolkeniano, per me nella storia ci può stare quasi tutto quindi non faccio il difficile e mi godo lo spettacolo. È verissimo che due ore e mezza per film sono però esagerate, avrebbe potuto limitarsi un pochettino. Tu Emil che lo Hobbit l'hai anche portato su Ck come lo vedi tutto questo brodo aggiunto? Secondo me alla fine della fiera era indispensabile per farne un film perché altrimenti ci sarebbe stato ben poco da aggiungere alla trilogia.
 
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emilgollum
view post Posted on 12/12/2014, 21:34




Riportare Legolas (tra l'altro non sopporto molto Orlando Bloom) per me è stata una mezza cazzata, ma capisco che sia un'operazione di marketing. Però alla fine Tauriel è tratteggiata bene e è anche un bel vedere. Legolas rimane un po' fuori, ma penso abbia più scene nell'ultimo film, dove potrà di nuovo montare sugli olifanti e vincere lui stesso la battaglia. :P
 
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26 replies since 4/12/2014, 09:20   139 views
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