| Intervista a Ruffalo, precedente al festival. Intanto ieri il Papa si è andato a comprare gli occhiali.
di Silvia Bizio
LOS ANGELES - Dopo "Teneramente folle", uscito in Italia a giugno, Mark Ruffalo, l’Hulk della serie Avengers , torna sugli schermi con "Spotlight", uno dei titoli che più farà discutere a Venezia, dove verrà presentato in anteprima mondiale fuori concorso il 3 settembre. "Spotlight", diretto da Tom McCarthy ("L’ospite inatteso") affronta il tema della pedofilia nella chiesa partendo dalla squadra “Spotlight” del Boston Globe , la più longeva unità investigativa giornalistica negli Stati Uniti, e dalla copertura dello scandalo sugli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica del Massachussets per cui il Globe ha vinto il Pulitzer nel 2003. Ruffalo e Rachel McAdams (ma nel cast ci sono anche Michael Keaton, Stanley Tucci, Liev Schreiber, Brian d’Arcy James e Billy Crudup) sono due giornalisti della squadra che indaga sulle accuse di pedofilia tra i sacerdoti riportando alla luce una storia emersa anni prima e efficacemente sepolta. Dice la McAdams (interprete della nuova stagione di True Detective): «Non sapevo quanto esteso fosse il problema dei preti pedofili. Il film mi ha costretta a studiare a fondo l’attualità, e sondare fatti che una brava ragazza protestante come me non avrebbe mai osato immaginare. Il reportage narrato nel film risale alla fine degli anni 90 e primi 2000. Quei giornalisti sono eroi senza volto: sono stati i primi a svelare lo scandalo e a puntare il dito contro una sacra istituzione. Sono sicura che il film piacerà a Papa Francesco... Anzi, non credo che ci sarebbe stato un papa Francesco senza il lavoro investigativo del Boston Globe ». «Sono stato educato al cattolicesimo », racconta l’italo-americano Ruffalo, 47 anni, raggiunto al telefono per parlare del film. «La domenica andavo in chiesa, ho fatto il chierichetto da ragazzino, insomma tutte le cose che fanno tanti giovani cattolici. Quando ho visto quello che stava succedendo nella chiesa e peggio ancora come tutto è stato insabbiato, sono rimasto indignato ». Un film d’inchiesta e impegno sociale, come non se ne vedeva da tempo. «Sì, alla maniera di Francesco Rosi o Pietro Germi. "Spotlight" rifugge il sensazionalismo o il ritratto grottesco della chiesa a cui si abbandona un certo tipo di letteratura: rimane più “sul pezzo”. Non mostra le molestie, non specula sul crimine. È semmai l’anatomia di un problema fatto di morbosità, repressione, ossessione e colpa. Il film punta il dito soprattutto sull’insabbiamento da parte delle alte gerarchie. Una sorta di Watergate cattolica. Per fortuna, Papa Francesco non ha peli sulla lingua e ne parla apertamente. Un leader così avrebbe dovuto arrivare prima... ». Non crede che il film potrebbe mettere in imbarazzo i credenti? «No, perché non ha il tono comiziante di un j’accuse ideologicamente motivato. Non impartiamo lezioni, ci limitiamo a narrare in stile cinematografico i fatti. Nessuno invita a prendere le distanze dalla Chiesa. Ma i fatti vanno raccontati, l’ipocrisia va smascherata. È triste che tanti cattolici si siano allontanati dalla loro chiesa a causa dello scandalo e delle bugie che vescovi e cardinali ci hanno propinato. Si tratta di credenti che trovavano conforto negli insegnamenti di Gesù e della chiesa: il film parla di una doppia vergogna. Secondo me è giunta l’ora della riconciliazione tra credenti e clero, soprattutto qui in America, dove la questione della pedofilia è stata più evidente ». Quindi è un’inchiesta giornalistica, più che la descrizione di una deviazione. «Esatto. È il Tutti gli uomini del presidente delle alte gerarchie ecclesiastiche. Mi sconvolge pensare che la Chiesa sia altrettanto manipolatrice della presidenza di un potente governo. Il solo pensiero mi fa venire il voltastomaco». Ci parli del suo personaggio. «Sono Michael Rezendes, il giornalista del Boston Globe che ha vinto il premio Pulitzer per questa inchiesta. Ho trascorso molto tempo con lui, è stato gentile e generoso, mi ha raccontato tutta la storia e mi ha permesso di studiarlo e cercare di imitarlo: non per diventare fisicamente come lui, ma come professionista della notizia. Pure lui, come me, soffriva un tormento interiore per quello che stava succedendo nella chiesa, la sua chiesa, e per quello che via via andava rivelando. Mi ha parlato di questo suo profondo smarrimento. Ma sulla fede e il dogma in lui ha prevalso la ragione e il desiderio di ricerca oggettiva e la libertà di pensiero ». Quindi lei pensa che Papa Francesco abbia la capacità di riportare alla fede i credenti cattolici? «Ne sono certo. Sento che lui capisce il male che è stato fatto a tante persone e alla fede, e non solo se ne rammarica e chiede scusa, ma sta passando anche all’azione. Il papa argentino conosce il valore e l’importanza di un processo di “guarigione”. Penso che potrà portare veri cambiamenti».
|