| Il film per cui vinse l'Oscar, dopo svariare nominations.
Regia di G. Van Sant Con R. Williams, M. Damon, B. Affleck, S. Skarsgaard, M. Driver Drammatico
Cresciuto nei sobborghi di Boston, Will Hunting (Matt Damon) è un ragazzo di pochi mezzi, molti amici (Ben Affleck e soci vivono per vederlo trionfare), grande memoria che gli consente quintali di letture e dotte citazioni e qualche grana con la polizia. E’ un genio della matematica, ma l’università la frequenta solo perché ne lava i pavimenti. La soluzione di un’equazione lasciata a metà su una lavagna ne fa il pupillo di un professore (Stellan Skarsgaard, ama e odia il ragazzo dello stesso sentimento che Salieri provava per Amadeus) che lo affida a Robin Williams (premiato con l’Oscar), psicologo dai modi originali che, come il ragazzo, ne ha passate di brutte in famiglia. Il giovanotto fa l’arrogante: è pieno di donne, ma disprezza i legami (finché non ci casca), analizza gli analisti, dà lezione ai docenti, arringa gli avvocati, impressiona gli impressionisti. Si finisce nella commozione generale del lieto fine e della redenzione. Una trama irritante, insomma. Ruffiana e in forte odore di melassa. Insolita tra le mani di Gus Van Sant. Eppure concepita divinamente (Damon ed Affleck l’hanno scritta, portata in giro eroicamente per anni e condotta all’Oscar), dotando il film di un effetto speciale aggiunto: i suoi dialoghi. Sorprese della celluloide: si può essere scontati, ma non banali. Teorema cinefilo: la somma delle parti deboli di una storia può essere inversamente proporzionale al gradimento di chi la segue. Davanti a ”Will Hunting” sentiamo crollarci addosso quelle quattro certezze di matematica cinematografica che ci consentivano di capire tutto almeno al cinema. (Guzzano)
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