|
|
| da trovacinema:
È stato applaudito dalla stampa l'atteso film greco "The lobster" di Yorgos Lanthimos, annunciato già come un possibile serio candidato alla Palma d'oro al Festival. Sulla Croisette insieme al regista di "Dogtooth" e "Alps" il ricco cast internazionale per un film ambientato in un futuro distopico e girato in inglese
di Maria Pia Fusco
CANNES - Le relazioni umane e le regole sociali Yorgos Lanthimos le aveva esplorate nei suoi primi tre film, ma «con The lobster abbiamo voluto andare oltre. Con il mio sceneggiatore Filippou abbiamo cercato di contrapporre le opposte scelte esistenziali: la vita di coppia o la solitudine del single, esagerando le situazioni fino a sfiorare l’assurdo», dice il regista greco. «Ci sono società in cui la pressione della cultura o della religione impone coppia e famiglia, ma in gran parte del mondo nessuno condanna più chi vive solo. Il film si limita a porre domande e lascia al pubblico le risposte. Ma in fondo per me è soprattutto una romantica love story». Romantico è l’incontro tra David e la donna miope, Colin Farrell e Rachel Weisz, e proprio dalla comune miopia nasce il sentimento tra loro. «Mi piace l’ironia del film sul narcisismo, ci s’innamora dell’altro in cui ti rispecchi», dice la Weisz e per lei l’attrazione del film è «nel forte contrasto tra il comportamento realistico del mio personaggio e l’universo estremo creato da Yorgos». Colin Farrell confessa: «Mi piace l’idea di vivere in solitudine, ma sono anche romantico e credo nella ricerca dell’amore. Il mio personaggio sceglie l’aragosta come animale in cui essere trasformato se non trova la compagna giusta entro 45 giorni. Io avrei scelto un uccello, volare è uno dei miei sogni». Nel cast ci sono anche Lea Seydoux e John C. Reilly (che è anche in "Il racconto dei racconti", come la Weisz è in "Youth", i due italiani girati in inglese con cast internazionale, come "Lobster"). «So che Garrone e Sorrentino hanno fatto la stessa mia scelta: forse abbiamo lo stesso desiderio di allargare i nostri confini, linguistici, culturali. E l’inglese è un po’ l’esperanto del cinema».
|
| |