| Caprara:
Qualora esista uno spettatore che sappia poco o niente della storia della schiavitù dei neri nell’Ottocento americano, potrà usufruire di un corso accelerato grazie a “12 anni schiavo”, grande favorito con le sue nove nominations ai prossimi Oscar…. Non senza avere dovuto patire, però, un’overdose di sequenze eleganti, gelide, studiatissime, nonché ricolme di ogni tipo di atrocità e nefandezze programmate per indignarlo trasferendo sulle correlate necessità didascaliche il vistoso sospetto di sadismo. Sbarazzatosi di qualsiasi sottigliezza psicologica, nonostante il ricco budget e i super-interpreti anch’essi già prenotati per la “notte delle stelle”, l’ex videoartista McQueen sulla base della sceneggiatura di John Ridley ricostruisce, infatti, le autobiografiche peripezie vissute da Solomon (Ejiofor), valente violinista nero che nell’incipit del 1841 vive tranquillo con la famigliola nella città di Saratoga, stato di New York. Dopo essere stato circuito da una coppia di lestofanti, il povero trentenne viene rapito, privato della vera identità, ribattezzato e venduto in catene al mercato di New Orleans. E’ l’inizio del più disumano dei calvari ambientato nelle famigerate piantagioni di cotone e orchestrato da un paio di padroni che sarebbe eufemistico definire bestiali. Non a caso, del resto, questi personaggi sgradevoli al limite dell’insostenibile sono stati affidati ad attori particolarmente trasformistici, Fassbender in testa, mentre al coproduttore Pitt è concesso il comodo cammeo dell’unico bianco abolizionista. Lo show di violenze, punizioni, stupri, omicidi che si sussegue sugli sfondi -voluti per contrasto splendidi- lungo gli anni del titolo, mentre lo sventurato Solomon cerca disperatamente di sopravvivere e persino di cooperare (senza guadagnarne ovviamente un barlume di misericordia), può essere avvicinato ai tanti allestiti sullo schermo per tramandare l’olocausto. Per fare un solo confronto, però, mentre lo Spielberg di “Schindler’s List” riesce a profondere una notevole complessità narrativa e stilistica, il regista londinese appare ossessionato dallo shock voyeuristico; facendo in modo, così, che gli episodi si stratifichino sullo stesso leitmotiv distraendo lo spettatore dal senso per cui nascono. Del resto, anche nei precedenti e giustamente lodati “Hunger” e “Shame”, McQueen usava la rappresentazione iperrealista, insistendo sul tema del martirio del corpo, i silenzi concentrazionari e le malvagità del potere, ma senza dovere ricorrere compulsivamente ai cliché da grand guignol e alle acmi di sensazionalismo. Come ha scritto tempestivamente l’esperta di cinema americano D’Agnolo Vallan, “12 anni schiavo” non è un capodopera bensì un veicolo di messaggi politicamente corretti, è inferiore come genialità d’autore e intensità morale a “Mandingo” e “Django” ed è il classico film di cui non si può parlare male perché si rischia d’essere accusati d’ufficio di razzismo. 12 ANNI SCHIAVO REGIA: STEVE MCQUEEN CON: CHIWETEL EJIOFOR, MICHAEL FASSBENDER, LUPITA NYONG’O, BRAD PITT DRAMMATICO – USA 2013
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