| RECENSIONE DI MASTRUCCIO PER LA DREAMING STUDIOS Molto in ritardo, e me ne scuso con Clint, ho letto il suo ultimo film “Il sospettato X”. Lo aspettavo con una certa curiosità, anche perché me lo aveva annunciato personalmente come un film che mi avrebbe conquistato, perché vicino alle mie corde e ai miei gusti. All’uscita del cinema posso dire che aveva ragione; il film, infatti, mi è piaciuto, pur con qualche riserva. Certo che moltissimo ha contribuito la precisa e dettagliatissima sequenza di innumerevoli descrizioni di movimenti di macchina e di inquadrature, che hanno reso il film piacevolissimo e molto scorrevole, malgrado abbia, invece, un ritmo narrativo abbastanza lento e senza alcuna scena particolarmente adrenalinica. Dal punto di vista della tecnica di scrittura cinematografica, il mio vecchio “pallino”, lo script è scritto in maniera ineccepibile, con un uso molto corretto di termini, piani e campi, inquadrature. La cosa, ovviamente, mi fa apprezzare ancor di più il lavoro di Clint, perché mostra di voler fare le cose per bene, riuscendoci in pieno. Nessuna importanza hanno, ai fini del giudizio, alcuni errori e refusi trovati qua e là, e la forse eccessiva lunghezza della sceneggiatura. Probabilmente si poteva asciugare maggiormente qualche sequenza, o addirittura tagliare diversi piccoli passaggi, ma non è il caso di farne un problema, perché comunque la lettura fila via liscia e senza particolare stanchezza.
La storia, tratta dal libro omonimo di Keigo Higashino, trasportata dal nostro Clint dal Giappone agli U.S.A., si dipana fin da subito come un finto giallo, nel senso che assistiamo quasi subito al delitto, e sappiamo pure come si è svolto e chi ne sono i responsabili: Jessica, una donna di mezza età, ancora bella, e la sua figlia adolescente Martha, che hanno ucciso il violento ex marito della donna dopo che lui l’aveva perseguitata e stava per molestarle. Viene in loro soccorso il vicino di casa, il professor Irving, genio della matematica e uomo solitario, il quale escogita un piano per far sparire il cadavere e fornire alle due donne un alibi di ferro che le possa tenere lontane dai sospetti. E’ un finto giallo, dicevo. Infatti tutta la vicenda si dipana nella ricerca della verità, da parte del detective Kennan e del suo collega Casey. Si farà aiutare dall’illustre prof. Colbert, docente universitario di fisica, meglio conosciuto come Galileo, suo amico e spesso determinante nelle districate indagini di casi del passato. Il film, quindi, si concentra sull’incontro di due menti geniali e lucidissime, che si ritrovano decine di anni dopo che si erano conosciuti e frequentati ai tempi dell’università. Il nocciolo centrale del film è questo, quindi: il confronto, tutto dialettico e psicologico, attraverso dialoghi molto significativi. Attorno ad essi ruotano altri personaggi che servono all’intreccio e a delineare i contorni della vicenda, fino al colpo di scena finale, sorprendente ma affatto inaspettato Se, dal punto di vista tecnico, questo film si fa ampiamente apprezzare, è proprio da quello della storia che più di qualche dubbio mi ha fatto riflettere. . E’ chiaro fin dalle prime scene che il delitto, così come descritto, non può non nascondere qualcosa di diverso. Se genio matematico è, il professor Irving, geniale deve necessariamente essere una soluzione che sappiamo subito che arriverà, prima o poi, e che ribalterà la situazione. L’effetto sorpresa del colpo di scena, quindi, è già vanificato all’inizio, non tanto nella sua sostanza (anche se avevo immaginato che quel corpo non fosse in realtà dell’ex marito di Jessica), ma nella sua prevedibilità. C’è da dire anche che sono diverse le forzature che ho riscontrato nel racconto, e danno troppo l’idea che si sia dovuto ricorrere ad esse per giustificare tutta la vicenda. La prima, ad esempio: com’è possibile che Jessica si fidi ciecamente di un uomo che praticamente non conosce affatto, Irving, e gli consegni di fatto la vita propria e della figlia? Così anche la troppa disinvoltura con la quale entrambe le donne tornino alle loro abituali vite, senza lasciar trasparire alcun incertezza. Ed in fin dei conti, non sarebbe bastato dire che hanno ucciso l’uomo per legittima difesa, cosa che, in definitiva, è realmente successo, dato che lui stava per usare violenza nei confronti della ragazzina? Perché ingegnarsi in un complicatissimo piano, quando anche Irving avrebbe potuto testimoniare in loro favore? Quando, alla fine, Jessica si costituisce, non mi pare plausibile che ciò sia stato determinato proprio dal tentativo di suicidio della figlia: ma come, tua figlia ha tentato di ammazzarsi, e tu, proprio nel momento in cui è evidente che la ragazza si trovi in un grave disagio personale, fai l’unico gesto che certamente ti allontanerà da lei e contribuisci direttamente al suo definitivo crollo psicologico, dato che inevitabilmente anche lei verrà incriminata? Insomma, un comportamento non plausibile nella realtà, ma solo per la riuscita drammatica dell’epilogo finale del film. Ben inteso, nessuna responsabilità attribuisco a Clint, che si è ritrovato tutto ciò nel libro. Infatti la critica io la rivolgo al romanzo. Ma se Clint avesse voluto, avrebbe potuto tranquillamente mettere mano al racconto originale, cambiando ed inventando nuove situazioni per rendere il film più credibile. Un altro appunto lo faccio allo spessore ed al ruolo dei personaggi principali. Irving, in definitiva, è l’assassino, il cattivo di turno. Nel romanzo, ed anche nel film reale tratto proprio da questo libro, il protagonista è il personaggio positivo, il prof. Colbert, quel Galileo, fisico geniale ed investigatore, che da anche il nome alla serie tv che è stata realizzata in Giappone, e di cui è l’assoluto protagonista. Qui, invece, Colbert è il personaggio in verità non reso importante e sfaccettato almeno al pari di Irving, e quindi i ruoli risultano invertiti, e si finisce per parteggiare più per il colpevole che per il poliziotto.
La regia di Paul Haggis è molto curata, e certamente potrà togliersi belle soddisfazioni agli Awards- Così anche il grande interprete del prof Irving, Philip Seymour Hoffman. Lo vedremo di sicuro nella cinquina dei candidati a miglior attore. Per i motivi che ho detto prima, invece, il pur bravo Kevin Spacey non riesce appieno a brillare come meriterebbe. La colonna sonora è un altro punto a favore del film. Le tracce musicali, numerose e tutte correttamente strumentali, rendono benissimo accostate alle scene di riferimento, ed aiutano non poco a immaginare l’atmosfera che l’autore ha voluto infondere all’intera pellicola. Non ho capito in pieno, invece, il senso della locandina. Quel ponte sospeso sull’acqua, che non porta a nulla, che significato ha? Non riesce ad essere evocativa ed, inoltre, a livello grafico mi pare migliorabile, anche con una diversa impostazione dei credits. Il sito è, nel panorama presente qui a Ck, un esempio classico e stilisticamente uguale a moltissimi altri. Non mi entusiasma, per la verità, anche se ho apprezzato la presenza delle pagine delle curiosità e del libro originale.
Detto tutto ciò, comunque, “Il sospettato X” è senza dubbio un ottimo prodotto cineamatografico, ottimamente realizzato e molto curato nei particolari tecnici. Quindi il mio voto è alto, però non posso non farmi condizionare dai dubbi sul romanzo da cui è tratto, e che, ripeto, non modificano di una virgola la mia ottima considerazione sulle qualità del giovanissimo talento cinematikino che è Clint. Voto: 76/100 (8 al sondaggio)
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