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Reality
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Reality, di Matteo Garrone, 2012

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Arcadia1983
view post Posted on 3/8/2012, 09:39




reality_mid

Titolo originale: Reality
Regia: Matteo Garrone
Cast: Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Graziella Marina, Nello Iorio, Nunzia Schiano, Rosaria D'Urso, Claudia Gerini, Giuseppina Cervizzi, Raffaele Ferrante, Paola Minaccioni, Ciro Petrone, Salvatore Misticone, Vincenzo Riccio, Martina Graziuso, Alessandra Scognamillo
Soggetto: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso
Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Maurizio Braucci, Ugo Chiti
Casa di produzione: Fandango, Archimede, Le Pacte, Rai Cinema
Casa di distribuzione italiana: 01 Distribution
Trama: Luciano è un pescivendolo napoletano dotato di una particolare simpatia, spesso si esibisce davanti ai clienti della pescheria. Un giorno, spinto dalla famiglia, partecipa ai provini per entrare nella casa del Grande Fratello. Da quel momento vive l'attesa come un'ossessione e la sua percezione della realtà non sarà più la stessa. (da Wikipedia)

Anzitutto mi scuso se è un topic doppione (ma in lista non ho trovato niente).

Il 1° è uscito il trailer del nuovo film di Garrone, vincitore del Gran Premio della Giuria all'ultimo Festival di Cannes. Eccolo:

Video

L'uscita è prevista per il 27 settembre. Per quanto mi riguarda, atteso, anche se spero che sia anche qualcosa di più del semplice affondo contro il reality show.
 
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Andrew.
view post Posted on 4/8/2012, 00:22




Lo vedrei volentieri.
 
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view post Posted on 7/8/2012, 13:23
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Da vedere, senz'altro.
 
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World ^_^
view post Posted on 8/8/2012, 08:17




Non mancherò. Tra i film più attesi della prossima stagione (a proposito, a breve vi posterò un topic coi "100 film" consigliati da Ciak)...
 
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view post Posted on 19/8/2012, 14:19
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CITAZIONE (World ^_^ @ 8/8/2012, 09:17) 
Non mancherò. Tra i film più attesi della prossima stagione (a proposito, a breve vi posterò un topic coi "100 film" consigliati da Ciak)...

Non so gli altri ma io lo sto attendendo da quando l'hai annunciato (così evito anche di comprarlo, il Ciak, l'ho fatto per sbaglio a luglio, puah!)
 
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Arcadia1983
view post Posted on 3/10/2012, 14:27




l'ho visto Lunedì. a me non è dispiaciuto: certo, non è perfetto, ma gli attori (lui soprattutto) e la regia sono buoni (son tutti pianisequenza, praticamente) e qualche spunto lo lancia. una visione ci può stare.

Voto: 7
 
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view post Posted on 4/10/2012, 17:24

Attore/Attrice

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Ok, gente, per questo film potrei anche pensare di andare al cinema a vedere un film italiano (cosa che ho smesso di fare da almeno due anni).
 
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emilgollum
view post Posted on 5/10/2012, 18:37




"potrei", niente di definitivo. :) E fallo sto sforzo!
 
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view post Posted on 10/7/2013, 14:34
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«Nastro d’Argento come miglior attore dell’anno è Aniello Arena», annuncia la presentatrice e la platea del Teatro Antico di Taormina, quasi tutta cinematografica, esplode in un applauso affettuoso e commosso. Per Aniello Arena, ieri sera, è stato il momento più bello, dopo la stretta di mano del presidente Napolitano al Quirinale nella finale dei David un mese fa e dopo il Gran Prix di Cannes a maggio 2012. Sempre per "Reality", il film di Matteo Garrone di cui è il superbo protagonista.

Attore impeccabile, lodato, moderno, nuova star del cinema d’autore made in Italy, ha trovato nel cinema e nel teatro un mezzo di riscatto, un modo per coltivare la sua intelligenza, per diventare forte, tenace. Per salvarsi, come dice lui. Aniello Arena è un detenuto del carcere di Volterra, condannato all’ergastolo per omicidio: era l’8 gennaio del ’91, giovane camorrista napoletano, aveva 23 anni e fu coinvolto nella strage di piazza Crocelle a Barra, la periferia di Napoli dove è nato e cresciuto. Morirono tre persone. Da quel macigno, dalle notti brave, dai personaggi vacui e aggressivi di allora, Aniello si è allontanato come da un incubo irreale. Ha scontato più di vent’anni con buona condotta e, grazie all’articolo 21 del codice di procedura penale, oggi è in regime di semilibertà: ogni mattina esce alle 9.15, rientra alle 18.30. Lavora dirimpetto al carcere, a Carte Blanche, l’organizzazione della Compagnia della Fortezza diretta da Armando Punzo, la più celebre e la più speciale delle realtà artistiche nate in carcere, dove dieci anni fa Aniello ha iniziato a recitare. E la sua vita mutilata è diventata un’altra cosa: la semplicità e la perfezione di Luciano, il pescivendolo di "Reality", i personaggi toccanti di Hamlice, Pinocchio, Pescecani, Mercuzio non vuole morire...
Tutti successi della Fortezza, che da quest’anno hanno anche girato, come una “normale” compagnia, in una vera tournée per i teatri: Firenze, Bologna, Roma... «Solo che la notte noi non andiamo in hotel, ma dormiamo nel carcere della città», dice con un tocco di autoironia Aniello, seduto davanti allo specchio nel camerino di un teatro romano.

Ha 45 anni e sembra più giovane in jeans e maglietta, fisico palestrato, non alto, sguardo molto sveglio. Risponde pacato, saldo, anche alle curiosità più futili sulla vita del carcere, mentre si percepisce l’emozione quando parla di teatro. «Sì, ora mi sento di dire che sono un attore. Una volta dicevo di no. Gli attori per me erano quelli che sono famosi, che leggiamo sui giornali. Io ero pieno di entusiasmo, ma tutto lì. Poi, però a un certo punto ci ho messo anche la testa. Forse è successo quando Matteo Garrone mi ha chiamato per il film. Non è che fino ad allora non mi sentissi attore, ma il cinema è stata una assunzione di responsabilità forte. Se prima giocavo, lì ho dovuto davvero fare l’attore».

A “scoprirlo” è stato Armando Punzo, l’iperattivo regista della Fortezza che ha cambiato profondamente il modo di fare teatro in carcere e da venticinque anni a Volterra lavora pionieristicamente con i detenuti «non per rieducare loro, ma per reinventare il teatro», come dice lui. «Quando sono arrivato io nel ’99, da Viterbo, dopo aver girato molte carceri, avevo già sentito parlare della compagnia. Ma ero in isolamento: nella condanna, un’altra tortura — ricorda Aniello —. E quando sei in isolamento devi reagire per non impazzire di rabbia. Io facevo ginnastica, leggevo libri, vedevo documentari. Parlavo con le guardie e aspettavo i colloqui ». Per fare teatro nella “fortezza” di Volterra era ed è ancora sufficiente presentare domanda di partecipazione. I detenuti e Punzo lavorano in una piccola stanza al piano terra. «Chi prova, difficilmente se ne va. Quando io sono sceso la prima volta, da napoletano pensavo che il teatro fosse la sceneggiata napoletana. Era quello che conoscevo, che avevo visto con mia madre da ragazzino. “Ma che cosa è?”, mi chiesi quando vidi cosa facevano. Mi pareva un altro pianeta. Ci ho messo un po’ per capire. Ho dovuto immagazzinare. Al primo spettacolo, nel 2002, dall’Opera da tre soldi di Brecht, ricordo, mi vergognavo come un matto a stare in scena. Mi chiedevo cosa avrebbero pensato quelli che avevano conosciuto da ragazzo.

C’è voluto tempo. C’è voluto il lavoro con Armando, il nostro regista. Lui ti fa uscire quello che hai dentro, lavora su di te, su quello che sei. Io fino a quel momento non avevo avuto strumenti per capire. Il teatro invece mi ha dato la possibilità di vedere. Attraverso i personaggi, attraverso le parole degli autori ho dissotterrato cose di me che mi hanno aiutato. Non è facile. Noi, poi, lavoriamo in una stanzetta piccola e siamo tanti. Da maggio a luglio, come adesso, quando stiamo per arrivare allo spettacolo, siamo una cinquantina e quasi non ci si può muovere. Per questo Armando si batte per far diventare la nostra compagnia un “teatro stabile”: per una sala da costruire ex novo nella parte esterna del carcere, e avere più spazio. Questo non vuol dire che lasceremo la “nostra” stanza. Per noi è il luogo della condivisione del gruppo. Lavorare sotto lo sguardo degli altri è qualcosa di particolare e i detenuti sono spietati, anche se con affetto. Sai a priori che non devi sbagliare perché dopo ti fanno nuovo nuovo».

La vita del carcere per Aniello è vita domestica. «Da quando sono passato nella sezione dei semiliberi siamo in due in cella, una cella grande, mentre prima di là, nella sezione interni, ero da solo, perché a Volterra tutte le celle sono singole. Che fai? Diventi casalingo. Dicono che noi del reparto maschile siamo maniaci, se potessimo metteremmo le pattine ai piedi. Rifai il letto, pulisci il pavimento. Ti organizzi per la spesa, perché si fa una volta alla settimana, quindi per il giorno del turno devi dare alle guardie la nota di quello che ti serve, se no sono altri sette giorni: detersivi, schiuma da barba, strofinacci per lavare a terra, la bomboletta del gas, l’acqua, il caffè».

Aniello è stato arrestato nel gennaio del ’93, due anni dopo l’omicidio. «Non ne parliamo», implora, più per non avvilire quello che è oggi che per autoindulgenza. Non si trova attenuanti. «A Barra, periferia di Napoli non è che ho avuto un’infanzia chissà che. Forse un po’ travagliata, forse la mia famiglia era un po’ disagiata, forse l’ambiente in cui sono cresciuto, Napoli... Non voglio giustificarmi, lo dico per raccontare di me. Il carcere è un destino obbligato se da ragazzo non capisci niente, non rifletti. Io pensavo che il mondo ce l’avesse con me e di conseguenza io ce l’avevo con lui. Capivo poco e agivo. Ero un impulsivo. Lo sono anche adesso, ma rifletto di più».

Racconta che quando entrò a Poggioreale a venticinque anni, pensò che la sua vita fosse finita lì. «Il carcere di Napoli era come l’inferno. Se sei un ragazzo che ha accumulato odio e finisci lì, Poggioreale genera mostri. Ho incontrato ragazzi che sono solo peggiorati. Ai tempi miei eravamo anche venti in una cella. Forse qualcosa è cambiato, ma il trasferimento è stata la mia fortuna».

Anche per questo a Napoli non ci tornerà più. I due figli, un maschio e una femmina di ventidue e venticinque anni, orgogliosi del suo successo, vivono anche loro fuori Napoli. E dalla moglie si è separato. «Sono napoletano e sono fiero di esserlo, ma vivere lì no. Non mi appartiene più come città. Sono cambiato e per come sono oggi non riuscirei a vivere in una città che è difficile, ferma nei suoi meccanismi». Se un giorno uscirà, dice, gli piacerebbe andare a Firenze o nel nord o dove lo porterà il teatro, il cinema, la notorietà. Dopo Cannes lo hanno cercato giornalisti e tv di mezza Europa. Questa estate reciterà nell’atteso "Santo Genet commediante e martire" diretto da Armando Punzo, il nuovo spettacolo della Compagnia che festeggia i venticinque anni di attività e che sarà il cuore, dal 18 al 26 luglio, del Festival di Volterra, evento davvero unico perché tutto si svolgerà nel carcere, spettacoli, artisti, spettatori tutti nella Fortezza (per entrare bisogna chiedere i permessi su www.compagniadellafortezza. org) e intanto sta ultimando un libro sulla sua vita che uscirà in autunno da Rizzoli Controtempo, a cura di Maria Cristina Olati.

La domanda forse è ingenua: mai pensato di scappare durante una delle tournée? La risposta è semplice, senza ambiguità: «E a che servirebbe? Dovresti scappare sempre. E come vivresti a quel punto? La prigione sarebbe dentro di te. No, spero di poter uscire con i benefici di legge, se ce la faccio. Ottimista? Quando ero ragazzo vedevo tutto nero. Ed essendo napoletano dico che uno alla fine il nero se lo tira addosso. Quindi ho imparato a liberarmi delle ombre. Ho imparato a trasformare la rabbia in passione».
 
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view post Posted on 25/9/2013, 12:54
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CITAZIONE (Arcadia1983 @ 3/10/2012, 15:27) 
qualche spunto lo lancia.

Tipo?

(l'ho finalmente visto quindi vorrei un sodale con cui parlarne... nonostante tutto, il meglio del recente cinema italiano)

due recensioni, positive, con le quali concordo:

Guzzano - Reality - Il telepresepe
Il sogno televisivo e la realtà antropologica del Grande Fratello si fondono in un mondo privo delle fosche connotazioni di Orwell ma improntato a un'ossessione solare, nel film che Matteo Garrone ha diretto con la memoria rivolta al cosmo di Eduardo. Da un antico palazzo/formicaio napoletano, sbuca il truffatore di mezza tacca Luciano, interpretato dal bravo Aniello Arena che è 'rinato' attore nel carcere di Volterra. Fa il salto glamour nel piccolo schermo che si riflette su un mondo succube degli attimi di gloria fugace. O di gloria inattesa e inevasa che costringe alla prigionia. Il regista di “Gomorra” scansa i generi, li mescola e sembra spostare il tiro: da episodi di criminalità, a puntate di intrattenimento. In realtà lo sguardo è il medesimo, con felice ritorno alle morbosità di “L'imbalsamatore e “Primo amore”: attento alle avventure di un Pinocchio incapace di separare la sua persona dal proprio personaggio. Che è il dramma enunciato da Pirandello, ma – secondo Garrone – anche da Fabrizio Corona.

Valerio Caprara
Pubblico e critica non vanno mai d’accordo. Un’asserzione detestabile, eppure “Reality” di Matteo Garrone ha un andamento così particolare, un tono così insinuante, una forma così composita, un pensiero così rapsodico da farci rischiare di convalidarla. Ci auguriamo, va da sé, che ciò non succeda, le reazioni non siano inconciliabili e i giudizi si giovino delle sfumature, ma il pericolo e insieme l’attrattiva del film vincitore del Gran premio della giuria a Cannes stanno, però, nella divergenza inevitabilmente innescata tra puro e semplice riflesso dei fatti e la poetica connessa allo stile adoperato per narrarli. Per essere ancora più chiari si può dire che qualora “Reality” sia preso solo come atto d’accusa contro la nuova peste, la madre di tutti i mali moderni, il simbolo della decadenza dei valori e del vivere civile ecc., cioé i format televisivi modello “Grande Fratello”, ci sarebbero pochi margini di recensione, sino a classificarlo come prova minore di un eccezionale talento.
La ballata post-Gomorra inizia, invece, con un ampio prologo che riproduce il kitsch partenopeo di un matrimonio celebrato negli incredibili ambienti del Grand Hotel “La Sonrisa” di Sant’Antonio Abate. Lo sguardo di Garrone non è mai cipiglioso ed è vero, come ha suggerito lui stesso, che questo tour tra cocchi dorati, hostess travestite da damine settecentesche, invitati debordanti di ciccia, minishow sguaiati, tagli di nastro con annesso frullo di colombe bianche e flash di gruppo evocanti una parodia felliniana ha una chiara affinità con una certa commedia italiana, quella che trasportava Totò, Peppino & company al limite della favola nera. Al povero Luciano, interpretato a dovere dall’attore-detenuto Aniello Arena, si presenta –come un miraggio di felicità realizzata- la celebrità del momento, un longevo reduce della Casa del GF che dispensa slogan grotteschi e facili promesse di fama. Cambio di scena e il rientro della famigliola nello sgarrupato palazzo in cui abita in comunione con una brulicante umanità conferma come al film non interessi- con il supporto dei mirabili effetti di luce del compianto Marco Onorato e delle musiche simil-Rota di Desplat- il documento, bensì il sapore e il colore di una realtà prossima alla surrealtà e come tale pressoché ingiudicabile. Garrone, insomma, è più pittore e fotografo che sociologo e lo dimostra quando riprende dall’alto la terza scena-clou, la piazza dove c’è la pescheria di Luciano che, a pensarci bene, è una versione “dal vivo” (napoletana doc) della Casa, un teatrino antico di sketch pittoreschi non troppo lontano da quello moderno e asettico allestito nel piccolo schermo.
La paranoia che s’impadronisce del protagonista convinto d’essere il prossimo eroe del programma –pietosamente assistito da amici e parenti disegnati con misura e intensità da attori come Loredana Simioli, Nando Paone e Nunzia Schiano- prende così una deriva irregolare, ipnotica, inerziale secondo noi “superiore” a quanto propone la sceneggiatura. I riferimenti a Pinocchio o alle Shangri-la consumistiche contano, in questo senso, meno del richiamo alle teorie del complotto, alle dietrologie che periodicamente avvelenano l’intelligenza laica e la credulità popolare. Quest’anno il reality, quello vero, non si farà semplicemente per calo d’ascolti. “Reality” di Garrone termina, invece e non a caso, con un caos avvolgente, una risata in forma d’oppio salvifico e un occhio onnisciente che scruta tutti dal cielo.

Edited by marenarobros - 25/9/2013, 14:15
 
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Mr.Noodles
view post Posted on 25/9/2013, 23:00




l'unico vero limite del film è che una volta innescato il meccanismo psicologico dell'ossessione di Luciano nei confronti del Grande Fratello, "Reality" vada con coerenza per una strada e segua solo quella rischiando di divenire prevedibile. mi è tornato in mente Pasolini: non solo per una questione di statura intellettuale (che a Garrone di certo non manca), ma soprattutto per il coraggio di osare. osare verso uno sfondamento del piano realista, per forzare l'immaginario grottesco che si era costruito, passare a un surreale più allucinato e trasgressivo: per un attimo ho persino sognato che la brevissima parentesi cattolica di Luciano potesse andare a colpire la Chiesa, quale altro "reality" da cui un'altra fetta di pubblico si lascia ipnotizzare. però - chiarisco subito - a Garrone tutto ciò non interessava: il suo primario interesse era di narrare una storia, con toni fiabeschi, tanto da introdurci a questo mondo con quel dolly che, a volo d'uccello, segue la corsa della carrozza borbonica e poi, con altri due piani-sequenza ci porta al centro di una festa di matrimonio kitsch e cafona - tutto ciò con una costruzione del montaggio interno e un'attenzione per l'espressività dell'umanità che si va a dipingere degna di Fellini (e per me il main theme di Desplat è una delle migliori composizioni dell'autore).
questo Pinoccchio contemporaneo è lo specchio di una miseria che Garrone non ha la cinica voglia di crocifiggere, ma, anzi, finisce per rappresentare con un certo pathos le traversie della famiglia e di Luciano per l'incombere del grande occhio del reality show - bellissima la scena in cui il pescivendolo rimane inquietato dalla presenza di un grillo in soggiorno. La separazione tra realtà e reality si annulla (se c'è mai stata), si cambia modo di vivere, si diventa generosi (c'è quasi un omaggio al furore francescano di "Europa 51") non per essere giusti agli occhi di Dio ma per esserlo agli occhi del GF (che non sta per Guardia di Finanza :P). la fuga psicogena finale in cui Luciano riesce a entrare nella Casa, invisibile per tutti (ma non per la cinepresa di Garrone) è un ulteriore restringimento della realtà: se prima la rappresentazione era un gioco portato avanti da un guitto con vita da guappo (lo spiazzo dell'antica casa della famiglia del pescivendolo pare il fondale di un palcoscenico), adesso è l'unica realtà esistente, l'unica illuminata e chi resta fuori non è che, semplicemente, non esiste, ma non è degno di esistere.

l'interpretazione di Arena è pazzesca, una delle interpretazioni dell'anno senza dubbio e se consideriamo la bella prova d'orchestra di "Cesare deve morire" si può quasi dire che questi attori provenienti dal carcere non hanno nulla da invidiare ai professioni, anzi, nel caso di Arena si può affermare il contrario.


voto: 7.5
 
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Andrew.
view post Posted on 25/10/2013, 18:27




Gran bel film, uno dei migliori film italiani che ho visto ultimamente. Ho avuto anch'io l'impressione che non si sia voluto osare più di tanto, ma la parabola discendente del protagonista è comunque ben descritta e si ha un'immagine chiara (e raccapricciante) della cultura che c'è in molti italiani al momento, che fanno della popolarità la loro massima ambizione.





 
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view post Posted on 25/10/2013, 18:41
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Il Cosmopolis de noantri.
 
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Arcadia1983
view post Posted on 25/10/2013, 20:49




CITAZIONE (marenarobros @ 25/10/2013, 19:41) 
Il Cosmopolis de noantri.

non so... Garrone ha fatto un bel film, però legato comunque a noi, secondo me...
 
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Andrew.
view post Posted on 25/10/2013, 20:56




CITAZIONE (Arcadia1983 @ 25/10/2013, 21:49) 
CITAZIONE (marenarobros @ 25/10/2013, 19:41) 
Il Cosmopolis de noantri.

non so... Garrone ha fatto un bel film, però legato comunque a noi, secondo me...

Però se ci si pensa bene, in America in quanto a ossessione per la tv, non sono da meno. I reality li hanno inventato loro, no?
 
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27 replies since 3/8/2012, 09:39   274 views
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