Torino, fine '800. In una fabbrica di tessiture, gli operai hanno orari impossibili (14 ore di lavoro), salari da fame e nessuna assistenza sanitaria. Di fronte alla disgrazia capitata a un loro compagno di lavoro, che perde una mano, iniziano a pensare di fare qualche dimostrazione per chiedere al padrone condizioni di lavoro più umane. Il professor Sinigaglia (Marcello Mastroianni), letterato dalle idee socialiste che ha abbandonato la famiglia e il posto per combattere assieme agli operai, li convince a scioperare a oltranza per ottenerle: è l'inizio di tre settimane durissime, tra fame, freddo e miseria, dove però intanto si cementa la consistenza di un popolo.
E' il secondo capitolo di quella che si può definire la "trilogia epica" di Mario Monicelli, dopo
La grande guerra (1959) e prima de
L'armata Brancaleone (1966). Con il secondo, in particolare, condivide in pratica tutto lo staff creativo: regista, sceneggiatori (Age e Scarpelli), musicista (Carlo Rustichelli), persino un attore (Folco Lulli, che peraltro muore in tutti e tre i film), oltre che la struttura di base, che vede un gruppo di poveracci accingersi a un'impresa forse superiore alle loro forze sotto la guida di un idealista pezzente. Ma lo spirito è quello della
Grande guerra, cui Monicelli lo paragonava sempre e a cui lo preferiva: la rielaborazione seria della storia patria, contraria a ogni retorica e vicina invece a uno spirito più autenticamente popolare, dove la commedia diventa lo strumento per raccontare davvero le vicissitudini, le speranze e l'operato di tutto un popolo. Il grande Mario lo preferiva al capolavoro precedente per la semplice ragione che qui non c'erano due star come Gassman e Sordi, capaci di distrarre l'attenzione del pubblico dalla coralità della storia (Mastroianni, con la sua aria da morto di sonno, è molto meno mattatore di tutti e due): il pubblico non fu d'accordo, e il film passò quasi inosservato, nonostante l'Orso d'Oro vinto a Berlino. Eppure, a rivederlo oggi, si pone fra i migliori film di Monicelli, per la fusione perfetta fra la commedia e il dramma, per la creazione di personaggi indimenticabili, per la cura nel ricostruire la Torino dell'Ottocento (con tanto di fotografia del viscontiano Giuseppe Rotunno), per lo spirito umanitario, realista ma non sfiduciato, che lo pervade, e per la prova di un cast semplicemente perfetto: oltre a Mastroianni, Renato Salvatori, Bernard Blier, il già citato Lulli, Annie Girardot, François Perier, Max Pisu, Vittorio Sanipoli, e perfino una giovane e irriconoscibile Raffaella Carrà.
Ah, dimenticavo di dire che ne parlo perché ho deciso di farne un remake.