Cinematik.it - Il gioco del Cinema

Il nastro bianco, di Michael Haneke

« Older   Newer »
  Share  
piccettino!
view post Posted on 10/6/2009, 23:12




image
Un film di Michael Haneke. Con Susanne Lothar, Ulrich Tukur, Burghart Klaußner, Josef Bierbichler, Marisa Growaldt.
Janina Fautz, Michael Kranz, Jadea Mercedes Diaz, Steffi Kühnert, Sebastian Hülk, Michael Schenk, Leonie Benesch, Leonard Proxauf, Theo Trebs
Titolo originale Das Weiße Band. Drammatico, b/n durata 144 min. - Austria, Francia, Germania 2009. - Lucky Red
Richiedi Il nastro bianco in Dvd


Strani eventi accadono in una scuola di campagna della Germania del Nord nel 1913: un cavo teso in mezzo alla strada fa inciampare il cavallo del medico, un granaio va a fuoco, due bambini vengono rapiti e torturati. Eventi che sembrano punizioni rituali. Chi c'è dietro?

Come sempre in Haneke è proprio la domanda finale che la trama qui sopra pone a non essere il centro del film. Film Hanekiano fino al midollo, Il nastro bianco è il suo cinema assimilato, normalizzato, assorbito nell'apparente linearità narrativa di un film ambientato nel 1914, dove quindi non è permesso il gioco metacinematografico scoperto che proponeva l'esteremo Cachè - Niente da nascondere, che diventa gioco forza la chiave interpretativa privileggiata per scardinare l'enigma film che il nastro bianco rappresenta. Tutti gli indizi sono nel quadro, ma sono invisibile e allo stesso tempo visibili, come il filo di Nylon che nella primissima scena è teso tra i due alberi all'interno di una inquadratura di un paesaggio Arcadico e che causerà l'incidente che dà il via alla'inquietante spirale di sevizie che avvolge il piccolo villaggio austriaco. Il cinema come onnipresente testimone, terzo escluso-incluso della narrazione: il cinema si nasconde, è perfino supposto, nella divaricazione narrativa che Haneke opera tra i fatti che si evdono sullo schermo (il 1914) e la voce narrante fuoricampo che non si vede mai, l'insegnante del villaggio che racconta però al nostro presente. Come se stesse facendo una intervista, come se si stesse girando un documentario, come se stessimo assistendo ad una ricostruzione alquanto invasiva (il film ci fa vedere anche cose che il narratore non può sapere esattamente) e allo stesso tempo evasiva (il film non racconta più di quanto il narratore non sappia) dei fatti narrati all'imperfetto (da quale presente?).Dietro questo gioco sottilissimo di cinema e testimonianza, nel retrsocena, affiora la Storia: dietro la precisa disanima sociale che Haneke porta avanti con rigorse assoluto si cela la prefigurazione dell'orrore che dà lì a poc avrebbe colpito il mondo; non a caso i veri protagonisti sono i bambini, le nuove generazioni, i nazisti di domani. A metà tra un episodio di Heimat e il più inquietante dei David Lynch, il nastro bianco è un film che ti entra dentro e ti rivolta come un calzino, avvollgendoti in una bergmaniana freddezza (aiuta in questo senso il meraviglioso bianco e nero del film) che ti toglie il respiro per tutte le sue due ore e mezza, che passano come saette. Capolavoro.

**** e 1/2
 
Top
emilgollum
view post Posted on 10/6/2009, 23:16




Oh, sì, sì - lo andrò a vedere presto.
 
Top
view post Posted on 11/6/2009, 10:01
Avatar

Cinefilo Ad Honorem

Group:
Member
Posts:
26,550

Status:


Quando esce?
 
Web  Top
piccettino!
view post Posted on 11/6/2009, 13:54




In autunno, per la Lucky Red (che ha coprodotto)
 
Top
emilgollum
view post Posted on 11/6/2009, 15:56




Ah ecco, esce in autunno. :P
 
Top
piccettino!
view post Posted on 11/6/2009, 16:25




CITAZIONE (emilgollum @ 11/6/2009, 16:56)
Ah ecco, esce in autunno. :P

Io l'ho visto con le vie del cinema da Cannes a Roma. Ho visto anche Un prophete che non mi entusiasmato tantissimo. mentre ieri ho perso per un soffio prima Loach e poi Resnais, c'erano file chilometriche per entrambi. Loach è perso ma stasera rifanno Resnais: sperem.
Dico anche che il film collettivo Tales from the golden age, tra cui c'è anche un segmento di Mungiu sia invece mooolto bello.
 
Top
Mr.Noodles
view post Posted on 22/6/2009, 15:25




Haneke ha sempre un perchè :P poi è interessante vedere come il severo cinema dell'austriaco utilizzerà questa storia e le parole di lorenzo fanno ben sperare :P
 
Top
view post Posted on 17/10/2009, 16:50
Avatar

Cinefilo Ad Honorem

Group:
Member
Posts:
26,550

Status:


Beh, uno dei prossimi film più attesi...
 
Web  Top
piccettino!
view post Posted on 30/10/2009, 15:35




Ecco la mia rece ufficiale ;)

Giudizio (max 5): 5
Recensione:

Come il filo teso tra due alberi nella prima inquadratura del film e che darà inizio alle violenze e agli incidenti che si susseguiranno lungo tutta la durata della pellicola, il cinema di Haneke si configura fin da subito - e ne Il nastro bianco nella sua forma più assimilata e cristallina - come un cinema della visione "invisibile" o, diciamo con Fogliato, "negata". Il filo che fisicamente, e quindi idealmente, taglia in due l'inquadratura, è invisibile tanto allo spettatore quanto al personaggio che cavalca dal fondo del quadro, fino all'impatto/detonatore della narrazione.
Così Il nastro bianco, summa e rilancio di tutte le sperimentazioni hanekiane, è fin nel suo profondo un sottilissimo gioco di livelli metacinematografici, metanarrativi e metastorici, costruito su di un complesso sistema di spostamenti spazio-temporali che fa del film una delle vette, se non la vetta del cinema di Haneke.
Meta-cinema. Come è possibile riscontrare un gioco metacinematografico in un film come Il nastro bianco, che fin dalla sua trama apparentemente nega quella contaminazione che pure è sempre stata alla base del cinema di Haneke? Tramite due artifici: la fotografia, in primis. Rinunciando al colore in luogo di un austero bianco e nero, Haneke attua già uno spostamento significativo lungo la linea spazio-temporale avvicinando le vicende narrate (siamo nel 1914) al mezzo con il quale le vicende vengono narrate, facendo attenzione a non scadere nella mera mimesi delle condizioni dei mezzi dell'epoca (la fotografia e la ripresa sono pulitissime), ma mantenendo una distanza percettibile e quindi non assimilabile a nessuna pretesa di realismo, o peggio, di documentarismo.
Secondo, la voce narrante: la voce off che - a tratti - ci racconta quanto avviene/ è avvenuto nel villaggio all'epoca dei fatti è un narratore diegetico, che fa, cioè, parte della storia; precisamente è il maestro del villaggio, unico testimone che il film ci concede delle vicende che vediamo scorrere sullo schermo. Esso è un testimone doppiamente estraneo - per quanto, nello stesso tempo, interno: il maestro viene da un'altra città, non fa parte della comunità ed è quindi estraneo alle logiche della stessa; in secondo luogo il testimone non racconta in presa diretta quello che accade, bensì ci parla da un futuro imprecisato come si denota dalla voce anziana e come lui stesso ci racconta durante uno dei suoi interventi. A cosa dunque stiamo assistendo? Ad una ricostruzione filmata di quanto il maestro ci racconta, ad un documentario basato sulla sua storia, o a un commento al film come se avessimo selezionato un contenuto speciale tra gli extra di un dvd? Basta un semplice spostamento temporale di una voce off per consentire ad Haneke di sovrapporre il livello filmico al livello narrativo, eliminando ancora una volta (come in molti altri suoi film: da Funny Games a Cachè) quel distacco tra camera cinematografica e finzionalità della storia, di modo che la prima finisca per influenzare, con la sua stessa silenziosa e invisibile presenza, la seconda, in una identificazione straniante tra campo e fuori campo.
Meta-narrazione. Strettamente connesso al livello metacinematografico è quello della narrazione. Duplicando il testimone (il primo, il maestro da giovane, è un personaggio che compare nel film al pari di altri, il secondo, la voce del maestro da vecchio, è semplicemente udito, voce che proviene da chissà dove e comunque, al pari del primo testimone, presente solo a tratti), Haneke attiva un livello metanarrativo, di una narrazione di una narrazione: vediamo una storia che ci viene parzialmente raccontata da una voce fuoricampo; o meglio, la voce ci racconta, da un futuro prossimo/passato (non viene mai specificato se essa parli al presente o al passato rispetto al nostro presente, o al futuro rispetto al nostro presente) una storia che noi spettatori vediamo ed ascoltiamo per intero, pure laddove la voce off non arriva o per assenza del testimone (il film ci mostra anche scene dove il maestro non è presente e di cui, al massimo, può aver sentito parlare) o per dimenticanza del testimone (ricordando esso il passato, dettagli si perdono, si confondono). Ritorna la domanda: a cosa stiamo assistendo? A cui bisogna aggiungere: quello a cui stiamo assistendo e/o ascoltando, è vero? A chi dobbiamo credere? In realtà abbiamo motivi per dominare di tutto: dei ricordi pieni di lacune del narratore off, ricordi quindi tutt'altro che affidabili, quanto di ciò che il film ci mostra riempiendo arbitrariamente le lacune del narratore, tanto mnemoniche, quanto visive/uditive. Oppure quello che ci mostra il film è la pura verità e la narrazione fuoricampo il racconto soggettivo di un solo, unico testimone? Nella perfetta identificazione tra campo e fuoricampo, si viene così ad aprire una voragine sospesa tra l'indeterminatezza di tutti i riferimenti temporali (tanto del film, quanto del racconto del maestro vecchio che non sappiamo da quale futuro ci parla), voragine che mette in questione la verità del cinema - ingannatore per statuto - finendo, al contempo, per negare la visione affermandola nello stesso tempo, e ugualmente tenerla nascosta, invisibile, come il filo teso tra gli alberi della succitata prima inquadratura: l'effetto è straniante, se non addirittura paradossale.
Meta-storia. All'interno di questo complesso impianto meta-cine-narrativo si inserisce l'ultimo tassello, quello meta-storico. Il film si snoda tra due estremi, corrispondente a due ulteriori spostamenti lungo la linea spazio-temporale: il primo è l'ondata di inspiegabili violenze che si abbatte sul villaggio, il secondo è l'educazione dei bambini, su cui Haneke insiste particolarmente e che sono, a conti fatti, i veri protagonisti del film (essi sono anche i veri destinatari della maggior parte delle violenze). A una impietosa analisi della violenza domestica fa da contro altare la violenza perpetrata dall'esterno delle mura di casa, per altro da ignoti: i due tipi di violenze/violazioni sono strettamente legati in senso meta-storico, ovvero universale; nell'educazione violenta dei genitori dei bambini risiede il terreno che saprà accogliere e nutrire il seme del nazismo: i bambini picchiati e obbligati al perseguimento di una rigida moralità (che deve essere visibile, non a caso: il nastro bianco del titolo, il simbolo dell'innocenza e della purezza, nastro che uno dei bambini sarà costretto ad indossare in seguito ad una disobbedienza o ad un comportamento scorretto), sono i nazisti di domani, pronti a replicare quelle stesse violenza su una scala maggiore, ben al di fuori di quelle mura domestiche all'interno delle quali hanno ricevuto la loro prima educazione. Accanto a questa prima prefigurazione storica, vi è, tramite una vera/falsa ellissi infradiegetica (una ulteriore sovrapposizione divergente: una discrepanza) una seconda e diretta pre-figurazione, diretta conseguenza di quanto appena detto: quella violenza pronta a scatenarsi da lì a pochi anni per mano di quegli stessi bambini a loro volta vìolati è quella stessa violenza che si abbatte su di loro continuamente durante l'arco delle vicende narrate, proveniente da chissà dove, chissà chi e chissà per quale motivo. Il concetto di violenza hanekiana - già sempre esercizio fine a se stesso, desiderio di una visione che Haneke ci nega continuamente (l'atto violento è già sempre ellisso), voyeurismo perverso dello spettatore/complice - trova qui la sua piena applicazione, risalendo (e riscendendo) dal "cuore di tenebra del nazismo" fino ad allargarsi a macchia d'olio lungo le pieghe dell'universale, tracciando quella che viene a darsi come una vera e propria genealogia della violenza e quindi della morale, legandoli insieme in un inaccettabile abbraccio solo apparentemente ossimorico, fino a renderci tutti intimamente complici. Haneke desacralizza il male, lo rende ordinario, quotidiano, perfino innocente nel suo manifestarsi (esso nasce dall'educazione) come quel nastro bianco attorno al braccio del bambino, memento alla purezza e all'innocenza, bianco che ben presto e in qualsiasi momento potrà tingersi del rosso e del nero della fascia nazionalsocialista, memento all'educazione delle masse che nella violenza nasce e perdura, in ogni tempo e in ogni luogo.
 
Top
Mr.Noodles
view post Posted on 30/10/2009, 22:35




da me non è arrivato :(
speriamo la prossima settimana...
 
Top
emilgollum
view post Posted on 30/10/2009, 22:36




Uhhh viosione obbligatoria, prossima settimana lo vo a vedere. Stranamente lo fanno anche al Multisala.
 
Top
emilgollum
view post Posted on 7/11/2009, 18:19




Capolavoro.
 
Top
yaniano
view post Posted on 7/11/2009, 21:01




io l'ho visto qualche giorno fa. molto bello, ma capolavoro no.

ne parlerò più approfonditamente domani se avrò tempo e se lo ricorderò.
 
Top
emilgollum
view post Posted on 10/11/2009, 21:01




In un villaggio della Germania del Nord, Michael Haneke (regista di altre pellicole importanti, come La pianista, Niente da nascondere e Funny Games) concentra tutta la sua forza espressiva in una storia dove ogni tassello, qualsiasi personalità (molti sono i personaggi rappresentati) si scontrano con quegli anti-valori predominanti in quel periodo storico o comunque il riflesso della Germania che sta per arrivare (nazismo in primis).

E’ proprio a essere l’educazione, talmente “imposta” (dolorosa e inneficace) a far nascere bramosie e vendette, probabilmente perchè il contesto (rarefatto e chiuso) e la troppa differenza “sociale” sono più forti e prevalicano il senso del giusto. Il contrappeso del buono e dello sbagliato è sempre in continuo mutamento in questo film, la ruota spesso si inceppa, l’equilibrio (solo apparentemente bilanciato, l’ira è nascosta, spesso rinchiusa nelle quattro mura domestiche) sfocia nel caos, le pedine impazziscono, per poi ritornare in uno stato di quiete, sconvolti da accadimenti più grandi, è la Storia a intervenire. Tutta la messa in scena, ben congegnata e mai banale (il racconto è parziale perchè ci viene raccontato da uno dei protagonisti che inevitabilmente racconta per sentito dire o per aver vissuto solo parzialmente quelle vicende) si fa carico di mostrare psicologie, violenze verbali e fisiche (questa volta ben mascherate dal fuori campo) sino a quel finale incongruo (volutamente) perchè non è tanto interessante sapere chi c’è dietro ai fatti (tra l’altro si capisce tutto il meccanismo, anche se non c’è Sherlock Holmes a spiegarlo) ma è proprio l’involuzione di quel meccanismo contorto a essere predominante sul resto. Gli aspetti tecnici a partire dalla solidità narrativa, dalla compostezza del montaggio e dalla fotografia in bianco e nero sono un accrescitivo, in un film che per asciuttezza e forza intrinseca m’ha ricordato Gosford Park di Robert Altman, per non andare troppo lontano potrei citare anche Bergman o altri illustri colleghi.

Vorrei chiudere con una provocazione. Ho letto alcune recensioni (a partire da Stefano Lusardi che sul film scrive: “è glaciale come un referto medico e non disturba come gli altri film dell’autore”. Sarà ma a me a (in più di una scena) ha disturbato eccome, ma forse è il cuore dei critici a volte a essere veramente freddo, perchè non riuscire a cogliere l’emozionalità di fronte alla crudezza di alcuni atteggiamenti è preoccupante. Oppure c’è sempre bisogno di mostrare la violenza nella sua interezza per scalfire l’animo umano? C’è sempre bisogno di essere palesemente diretti, mostrando ossa spezzate o quant’altro per poter “scaldare” l’animo di questi presunti intelletti?
 
Top
49 replies since 10/6/2009, 23:12   483 views
  Share